Accoglienza, legalità, inclusione. Per le vittime di traffico degli esseri umani non si tratta

Tratto da un articolo pubblicato da Confronti
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L’8 febbraio un convegno organizzato da Slaves no more e BeFree illustra le principali criticità del sistema di protezione delle donne migranti vittime di tratta e costrette alla prostituzione.

Con la pesante assenza delle autorità invitate, l’8 febbraio, Giornata mondiale per la lotta alla tratta, si è tenuto presso la Casa internazionale delle donne di Roma un convegno organizzato dalla cooperativa Be Free e dall’associazione Slaves No Moresui temi dell’accoglienza, della legalità e dell’inclusione per le vittime di traffico di esseri umani e in particolare per le donne costrette alla prostituzione.

L’incontro è partito da un dato di fatto: la situazione in Italia non è rosea, anche se ci si potrebbe avvalere di quella che, ha ricordato Oria Gargano, è la legge europea più avanzata in materia (il permesso di soggiorno per le vittime della tratta secondo quanto stabilito dall’art18 Dlgs. 286/1998). In particolare, Francesca De Masi ha sottolineato come, in base ai recenti accordi tra il governo italiano e la Libia di Serraj, sarà probabile un peggioramento delle possibilità di proteggere chi è vittima di tratta, poiché proprio la Libia è uno degli Stati maggiormente coinvolti nel traffico di esseri umani dall’Africa subsahariana. Inoltre, ha ricordato come un telegramma della direzione generale dell’Immigrazione e della Polizia delle frontiere del Ministero dell’Interno, recentemente denunciato dalla rete “Io Decido” in un comunicato, inviti «a decorrere dal 26 gennaio al 18 febbraio, a rendere disponibili nei Cie italiani […] posti riservati alle cittadine e ai cittadini nigeriani al fine della loro identificazione e rimpatrio, nonché a effettuare “mirati servizi finalizzati al rintraccio di cittadini nigeriani in posizione illegale sul territorio nazionale”».

Deportazioni definite dal comunicato «sommarie» e riguardanti persone «esposte alla carcerazione, a stupri e violenze, e talvolta alla morte» che, arrivate in Italia, sono sopravvissute ad abusi «e forme di sfruttamento sessuale e lavorativo». I rimpatri sembrerebbero concordati proprio con il governo nigeriano (e quello sudanese), con accordi fortemente lesivi dei diritti delle persone coinvolte. Diritti che spesso sono di difficile godimento anche a causa delle minacce che donne e uomini ricevono da parte dei trafficanti. Chi è vittima di tratta si trova infatti indirizzato verso il percorso dell’asilo politico, raccontando però storie poco credibili suggerite dagli stessi sfruttatori e che quindi rendono impossibili risposte positive da parte delle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale, come sottolineato da Maria Giovanna Fidone, rappresentante Unhcr.

Proprio per questo, le associazioni e cooperative che operano nei Cie, negli sportelli antiviolenza e nei centri d’accoglienza (soprattutto Cas e Sprar) cercano di creare quella rete della solidarietà che possa contrastare quelle del traffico di esseri umani, di comprendere le storie delle giovani donne costrette alla prostituzione e di creare il clima di fiducia che permetta loro di esprimersi, ricostruire la propria soggettività e cercare di vivere una vita felice, come persone libere.
Con un gran sorriso è iniziato proprio l’intervento di Blessing Okoedion (vedi foto), giovane nigeriana che è riuscita a liberarsi dallo sfruttamento perché non si è voluta abituare alla condizione di schiava, e perché ha saputo rivolgersi con tenacia alle forze dell’ordine, fino a quando non è riuscita a farsi ascoltare e a entrare nel sistema di protezione per vittime di tratta. Sistema al quale mancano ancora molti strumenti: suor Rita Giarretta (responsabile di Casa Rut di Caserta) ha menzionato in particolare gli spazi fisici (ad esempio case di semiautonomia) e sociali, l’accesso a istruzione e lavoro e soprattutto la presa in carico del problema da parte del pubblico, pubblico che è stato invitato da Iside Castagnola ad assegnare in tal senso i beni sequestrati alla mafia.

Infine, vale la pena ricordare che non tutte le donne vittime di tratta desiderano rimanere in Italia: per questo nasce Slaves no more (la cui presidente, suor Eugenia Bonetti, ha aperto il convegno) che si occupa di creare un ponte con la Nigeria, garantendo un rientro sicuro e che segue anche quante siano forzate al rimpatrio, rimpatri definiti dal Greta (Gruppo di esperti contro la tratta del Consiglio d’Europa) in un rapporto pubblicato il 30 gennaio «trattamenti inumani e degradanti» nonché «lesivi del diritto d’asilo e del diritto di difesa».

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