Contro il racket e le violenze, la Casa è una base internazionale

tratto da un articolo pubblicato sul giornale Il manifesto 
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La cooperativa BeFree. Gestiamo servizi dedicati alle donne su molti territori di Roma, Fiumicino, Viterbo, Napoli, Campobasso, L’Aquila, lavoriamo anche con organismi europei e delle Nazioni Unite, realizziamo corsi di formazione per operatori sociosanitari e delle forze dell’ordine. Lo sfratto da via della Lungara è per noi un buco nero

di Oria Gargano

BeFree- cooperativa sociale contro tratta, violenze, discriminazioni – lavora a fianco delle donne. Donne che hanno vissuto o vivono violenze di genere, in un contesto in cui la repressione giudiziaria viene sempre più invocata, in cui l’approccio securitario cresce di giorno in giorno e si indirizza verso la punizione per gli autori dei (pochi) stupri nella sfera pubblica agiti da (alcuni) immigrati, piuttosto che verso la messa a tema delle violenze (assolutamente prevalenti) agite da «maschi alfa» italiani, perfettamente integrati, contro mogli, compagne, ex mogli, ex compagne. Donne straniere che sono trafficate a fini di sfruttamento sessuale o lavorativo, o entrambi, vittimizzate da racket criminali potentissimi, letteralmente ridotte in schiavitù, in un contesto in cui l’indesiderabilità degli stranieri sui nostri territori è divenuta talmente forte da obnubilare la perentorietà e la esigibilità dei diritti umani.

BEFREE gestisce servizi dedicati su molti territori di Roma, Fiumicino, Viterbo, Napoli, Campobasso, L’Aquila, lavora anche con organismi europei e delle Nazioni Unite, realizza corsi di formazione per operatori sociosanitari e delle forze dell’ordine. E ha la sede operativa e di coordinamento per le sue molteplici attività dentro alla Casa internazionale delle donne. Non potrebbe averla che qui. BeFree è parte della Casa, perché un lavoro frontale così capillare e impegnativo non ha senso che dentro a un contesto in cui si costruisce, giorno dopo giorno, la Politica di Genere, un approccio inclusivo, rivolto a tutte e a tutti, volto a diffondere la cultura del rispetto, dell’inclusione, della crescita individuale dentro a una comunità coesa e armonica. Una pratica che marxianamente si potrebbe definire nata ed elaborata a partire dalla «radicalità non negoziabile del bisogno».

Per BeFree essere dentro la Casa internazionale delle donne significa anche offrire sostegno gratuito su base volontaria alle tantissime che arrivano alla Casa con una richiesta importante, grave, urgente, e che vengono mandate a noi dalla Segreteria, o che bussano direttamente alla nostra porta. Significa anche offrire, per un pomeriggio a settimana, consulenza legale gratuita per tutte coloro che debbono andare nei tribunali (penale, civile, per i minorenni), resa da avvocate formate sulle tematiche della violenza e della tratta, iscritte agli albi del gratuito patrocinio, per assicurare a tutte assistenza legale.

Significa poter essere in rete con tutte le compagne che gestiscono attività di consulenza medica, ginecologica, psicologica, psicoterapeutica, educativa, di inserimento e orientamento lavorativo, di diffusione culturale, significa poter collaborare tutte insieme, con un approccio consapevole e femminista, ai percorsi individuali delle donne, che solitamente subiscono problematicità multiple e, contemporaneamente, essere parte di un grande laboratorio volto all’individuazione e alla diffusione di buone pratiche.

Significa, anche, l’orgoglio di vivere in un contesto che rappresenta ed esalta l’autorevolezza delle donne, la capacità imprenditoriale che ci ha consentito di conservare e mantenere uno stabile del ‘600, con interventi di natura ordinaria e straordinaria, di pagare le onerosissime utenze, e le imposte, ancora più onerose, e di gestire un progetto così prezioso e costoso, di pagare al Comune almeno 350,000 euro.

Un’autorevolezza e una capacità che hanno reso possibile assicurare stabilità e dignità a molte lavoratrici, che grazie alla Casa sono state sottratte alla precarietà e alla disoccupazione – e, alcune, a situazioni di grandi problematicità.

Significa, però, soprattutto, modificare il contesto culturale che fa da humus alla violenza, alla tratta, alle discriminazioni, alle disparità, alla miseria, alla mancanza di opportunità.

Ed ecco che questo Comune guidato da una sindaca decreta la morte della Casa internazionale delle donne, grazie all’impegno di tre assessore e di una consigliera.

Da cosa nasce questo disegno di smantellare un luogo così autorevole, ben conosciuto a livello cittadino, nazionale, internazionale? Perché farlo, dopo che in tutti i modi noi abbiamo tentato di spiegarne le peculiarità, producendo materiali esaurientissimi, esibendo bilanci e resoconti economici?

Io non ho risposte a questa domanda. Questa vicenda, assieme a moltissime altre, fa dilatare davanti a me un baratro nero, profondissimo, insidioso, dentro al quale ho paura di guardare. Ma lo farò, riuscirò a farlo, grazie alla forza di tantissime e tantissimi che ci sono vicini e sodali.

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