Manifestazioni e incontri contro il ddl Pillon sul diritto di famiglia. Ecco perchè non deve passare

Tratto da un articolo pubblicato da SialCobas
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A Bologna centinaia di persone hanno manifestato contro il disegno di legge presentato al senato dall’onorevole Simone Pillon sulla riforma del diritto di famiglia, mentre domani a Milano in un’assemblea alla Camera del Lavoro (Corso di Porta Vittoria, 43) dalle 18 in poi, sarà battezzato il nuovo comitato NOPillon. Molte associazioni hanno già aderito al comitato che fa sapere, nel suo comunicato, che il DDL 735 deve essere ritirato in quanto “sono apertamente attaccati i diritti civili fondamentali” e “perché il disegno di legge incide pesantemente sulla vita e sulle emozioni dei minori, mette a rischio le donne che vogliono uscire da relazioni violente, incrementa il conflitto e allunga i tempi di separazione dei coniugi, non considera le disparità economiche ancora presenti tra i generi in Italia e costituisce una pesante ingerenza dello Stato nelle scelte di vita delle persone” (per aderire ComitatoNOPillon).

Oggi però a esprimere, dopo molti altri, il proprio disappunto verso il DDL 735 si è aggiunta Magistratura Democratica che, citando la Costituzione, pubblica oggi sul sito in apertura: “Prime riflessioni sul Ddl Pillon” firmato da Giulia Marzia Locati (giudice del Tribunale di Torino). Secondo quanto si legge, “L’impianto del decreto risponde ad una visione adulto-centrica che, oltre a non tenere in alcun modo conto della realtà delle famiglie italiane, si pone in pieno contrasto con quel superiore interesse del minore che deve necessariamente orientare il legislatore nella promozione della personalità e nell’educazione del soggetto umano in formazione (C.cost. n. 11 del 1981)”. Come scrive la giudice Locati, “la previsione automatica e obbligatoria di tempi di permanenza paritaria presso ciascun genitore (in assenza di accordo, almeno 12 giorni con ognuno), indipendentemente da manifestazioni di volontà contrarie dei figli e a prescindere dall’età, svela una concezione del minore quale bene materiale da dividere a metà tra gli adulti e non considera le esigenze di un bambino”; mentre “costituisce una grave violazione dei diritti del minore, altresì, supporre in via automatica che il suo rifiuto (del bambino, ndr) di incontrare un genitore sia comunque da imputare al condizionamento dell’altro, non considerando invece né la valorizzazione della volontà del bambino – pilastro della riforma del diritto di famiglia del 2013 – né l’obbligo di approfondire, sempre e comunque, l’adeguatezza sul piano genitoriale di un adulto che ben può aver esposto il figlio a forme di violenza domestica”. Per i magistrati infine la realtà dei Tribunali rivela che “nella maggioranza delle separazioni consensuali l’intervento del giudice è necessario per aumentare i tempi di permanenza del figlio presso il padre, non contro la volontà della madre, ma contro la volontà del padre”, chiarendo una volta per tutte che le madri, a meno di ragioni gravi come appunto una violenza o un abuso, tendono a voler coinvolgere l’ex partner nella gestione dei figli ma che sono gli stessi uomini a disinteressarsene per loro esclusiva volontà.

Ma perché continua la levata di scudi contro il DDL 735, cosa nasconde questo disegno?

In questi giorni, oltre ai comunicati di DiRe (Rete nazionale dei centri antiviolenza) e di molte associazioni che lavorano per il contrasto alla violenza maschile sulle donne, è apparsa sul web l’analisi di Sabrina Fiaschetti e Carla Quinto: due avvocate di BeFree, una cooperativa che gestisce diversi centri antiviolenza e case rifugio a Roma e in altre regioni italiane, e soprattutto tiene in vita lo sportello antiviolenza h24 al pronto soccorso dell’ospedale San Camillo di Roma. Fiaschetti e Quinto, rispettivamente avvocata civilista e penalista che seguono esclusivamente casi di violenza maschile sulle donne anche nelle separazioni, hanno elaborato il documento – che viene proposto integrale qui di seguito – sottolineano alcuni punti fondamentali del disegno di legge come il ripristino del concetto di “potestà genitoriale”, la sovrapposizione dei concetti di conflittualità e violenza intra-familiare, l’introduzione di due “pericolose” presunzioni ex lege come le false accuse e l’alienazione parentale, il favorire le condotte del genitore abusante in nome della bigenitorialità, l’applicazione della Legge anche ai procedimenti pendenti, e infine l’aperta violazione dell’art. 31 della Convenzione di Istanbul sulla “Custodia dei figli, diritti di visita e sicurezza”, che qui in Italia è legge.

In questo modo, ed ecco l’allarme dei centri antiviolenza, le due avvocate sottolineano come:  “il minore, anche se vittima di violenza (…) si troverà costretto a frequentare il genitore violento e abusante, con conseguente ulteriore esposizione del minore al rischio di reiterazione delle condotte violente ed a forme di rivittimizzazione”, minore che diventa così “non solo oggetto delle volontà del genitore abusante ma anche strumento di rivalsa nei confronti dell’altro genitore”. “Nei casi di violenza – continua il documento –  il genitore violento potrà continuare indisturbato ad agire violenza sull’altro genitore che dovrà paradossalmente attivarsi per garantire la frequentazione del minore. Ciò impedirà di fatto qualsivoglia forma di tutela per le vittime di violenza e l’impossibilità di fuoriuscire dalla violenza stessa”. E questo grazie all’art. 17 che introduce “la presunzione ex lege dell’alienazione genitoriale prevedendo che il genitore – pur in assenza di evidenti condotte – sarà ritenuto responsabile di qualsivoglia rifiuto, alienazione o estraniazione che il figlio manifesti nei confronti dell’altro genitore”, e dell’art. 18 che “prevede l’applicazione, al genitore ritenuto presumibilmente (e non certamente), responsabile del comportamento del figlio, allontanamento, divieto di avvicinamento”, e la pronuncia inaudita altera parte delle misure come la decadenza della responsabilità genitoriale.

A questo proposito, sembra interessante anche proporre subito qui di seguito il video dell’avvocata Sabrina Fiaschetti che spiega in maniera semplice la situazione nei Tribunali italiani rispetto al nostro sistema giuridico prima della presentazione del DDL 735 – durante una formazione di alcuni mesi fa organizzata dall’Ordine dei giornalisti del Lazio alla Fnsi – che ci dà il senso di come forse ci sarebbe bisogno di una riforma ma completamente contraria a quella del decreto Pillon.

NOTE CRITICHE AL D.D.L. N. 735, REL. PILLON

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I) INTRODUZIONE

Le modifiche legislative che il Disegno di legge n. 735 Rel. Pillon intende apportare manifestano la ferma volontà dell’attuale governo di perseguire intenti privatistici e di lobby. Ignorando le peculiarità del nostro sistema giuridico, politico, sociale ed economico, il D.d.l. introduce disposizioni che se entrassero in vigore, comporterebbero una grave regressione normativa rispetto al passato, alimentando disuguaglianze e discriminazioni di genere. Ciò emerge già nella Relazione illustrativa al D.d.l. nella quale si cerca di “giustificare” l’iniquità delle norme così concepite, richiamando il successo di istituti come la Alternative Dispute Resolution (ADR) ed i dati statistici di Paesi dove la divisione dei ruoli genitoriali e le disparità socio-economiche tra i sessi sono totalmente diversi dalla realtà nazionale.
Il D.d.l. Pillon, nel tentativo illegittimo di ridefinire i rapporti familiari a discapito delle donne e dei minori, disegna una serie di norme tese a:
a) de-giurisdizionalizzare una materia così complessa e delicata come quella del diritto di famiglia che riguarda la vita quotidiana delle persone, relegando al potere valutativo e decisionale affidato al giudice naturale precostituito per legge (ex artt. 24 e 25 Cost.) un ruolo residuale ed estremamente marginale, ricorrendo a figure private, non specializzate, spesso estranee al sistema giudiziario quali i mediatori ed i coordinatori genitoriali;
b) ripristinare il primitivo “ordine familiare precostituito”, “restituendo” il diritto dei genitori di decidere sul futuro dei figli, reintroducendo l’ormai superato concetto di “potestà genitoriale” (in luogo della “responsabilità genitoriale”) ed introducendo il “piano genitoriale” che diventa strumento di controllo sociale. Il minore di fatto viene estromesso da qualsivoglia decisione che lo riguardi, divenendo di nuovo oggetto (e non più soggetto) di diritti.
c) avvalorare l’errata e strumentale sovrapposizione dei concetti di conflittualità e violenza intra-familiare all’interno delle cause civili in materia di famiglia, pregiudicando la tutela delle donne e dei minori vittime ed incrementando le situazioni di pregiudizio e rischio concreto alla loro incolumità psico-fisica, e ciò anche in evidente contrasto con il principio del preminente interesse del minore.
d) introdurre due “pericolose” presunzioni ex lege: quella della falsità delle situazioni di violenza endo-familiare e quella della esistenza della alienazione parentale, prevedendo strumenti di intervento assolutamente squilibrati e discriminatori.
e) favorire, in nome del principio della bi-genitorialità, le condotte del genitore abusante, con conseguente danno sulle donne e sui minori che le subiscono;
f) ignorare le incontestabili discriminazioni di genere che caratterizzano il mercato del lavoro e le politiche sulle retribuzioni salariali così come le esigenze economiche e di vita dei minori, favorendo il coniuge economicamente più forte con l’eliminazione degli Istituti dell’assegnazione della casa familiare e dell’assegno di mantenimento.
g) dare liceità giuridica ad una serie di stereotipi e pregiudizi di genere quali: il presumere che le donne accusino falsamente il partner di violenza per avere benefici nelle cause civili di separazione e divorzio; che le donne utilizzino i minori contro i padri; che il genitore economicamente più debole (per lo più le madri) utilizzi il contributo economico al mantenimento del minore corrisposto dall’altro genitore per finalità personali, introducendo il c.d. mantenimento diretto dei minori, senza peraltro prevedere alcuno strumento volto a tutelare il nucleo genitore/minore in caso di inadempimento dell’altro genitore. Nello stesso senso, il D.d.l., fa un uso strumentale dei principi del preminente interesse del minore e della bigenitorialità, con una retorica parificazione dei tempi di frequentazione genitoriale, di impossibile concreta applicazione. E’ dato certo che alcuni genitori, per esigenze lavorative e personali, stiano con i propri figli un tempo minore rispetto a quello concordato e/o disposto dal Tribunale. Dunque, la norma non ha lo scopo di implementare la relazione affettiva con i figli ma solo di esonerare un genitore dal pagamento del contributo economico e di conservare il proprio patrimonio immobiliare.
h) estendere ex art. 23 del D.d.l., l’applicazione della Legge anche ai procedimenti pendenti. L’art. 1 prevede il termine di 120 giorni dall’entrata in vigore della legge per adottare le norme di attuazione; il termine di 6 mesi per l’istituzione e l’aggiornamento dell’albo professionale dei mediatori ed il termine di 6 mesi per l’emanazione di un codice deontologico da parte dell’istituendo consiglio nazionale dei mediatori familiari; quindi ove la normativa dovesse entrare in vigore, si applicherebbe ai procedimenti in corso, malgrado non siano state ancora emesse le norme di attuazione,
istituiti ed aggiornati gli albi professionali né emanati i relativi codici deontologici.

A) SULL’INTRODUZIONE DELLA MEDIAZIONE OBBLIGATORIA
artt. da 1 a 4; 7 e 8

Il D.d.l., perseguendo un’ottica privatistica del diritto di famiglia, introduce la mediazione obbligatoria in tutte le separazioni familiari in cui sia coinvolto “direttamente o indirettamente (sic!)” un minore, elevandola a condizione di procedibilità per l’accesso alla Giustizia.
a) Si rileva come tale norma:
* determini gravi conseguenze se applicata indiscriminatamente alle situazioni di violenza domestica: l’art. 48 della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e il contrasto alla violenza contro le donne e della violenza domestica, aperta alla firma ad Istanbul l’11 maggio 2011, impone infatti agli Stati il divieto di fare ricorso obbligatorio a procedimenti di soluzione alternativa delle controversie, incluse la mediazione e la conciliazione, in relazione a tutte le forme di violenza che rientrano nel campo di applicazione della Convenzione”. L’indifferenza verso le situazioni di violenza emerge altresì laddove viene introdotto il concetto di “consulenza matrimoniale” volta a salvaguardare “l’unità familiare” (cfr.: art. 1 lett. K).
Tra l’altro, uno dei fondamenti dell’Istituto della mediazione familiare è la volontarietà della coppia al percorso di mediazione familiare che diverrebbe così obbligo svuotato di intenzionalità.
* provochi una dilazione dei tempi di accesso alla Giustizia (artt. 24 e 25 Cost.);
* renda impossibile l’accesso diretto alla Giustizia nei casi di urgenza e/o di grave pregiudizio per i minori; non è infatti prevista alcuna clausola di salvezza o deroga alla mediazione obbligatoria (condizione di procedibilità) che garantisca l’accesso diretto ed immediato alla giustizia.
* determini una grave violazione del diritto di difesa e la estromissione della rappresentanza tecnica (art. 24 Cost.). Non è prevista, nella procedura di mediazione, l’obbligatorietà dell’assistenza e della rappresentanza tecnica da parte dell’Avvocato/a.
L’art. 3 co. 4 prevede, infatti, la partecipazione degli Avvocati solo al primo incontro e solo ove le parti abbiano già conferito loro mandato.
L’art. 3 co. 5 prevede persino la possibilità che il mediatore, su accordo delle parti, possa estromettere gli Avvocati dai successivi incontri del procedimento di mediazione, con grave nocumento del diritto di difesa e di rappresentanza costituzionalmente garantito.
L’art. 1 co. 2 lett. l prevede ancora che i mediatori (soggetti laureati in discipline sociali, psicologiche, mediche e pedagogiche…ex art. 1 co 2 lett.
b) in quanto privi di competenze tecnico-giuridiche devono astenersi dal fornire consulenze legali; malgrado ciò, i mediatori possono dar corso a tutto il procedimento di mediazione senza la presenza dei rispettivi legali delle parti, la cui presenza è prevista a pena di nullità e di inutilizzabilità solo al momento dell’eventuale stipula dell’accordo e, pertanto a percorso conclusosi.
* comprima il potere decisionale del Giudice, prevedendo che omologhi l’accordo raggiunto a seguito del procedimento di mediazione entro 15 giorni: termini troppo brevi che non consentono una attenta verifica da parte dell’organo competente.
c) Ed ancora, all’art. 1 lett. k) viene previsto, un indefinito obbligo del mediatore di adoperarsi per impedire o risolvere gravi conflittualità che possono produrre ogni forma di violenza endo-familiare. Tale disposizione oltre a considerare la violenza come l’epilogo di una situazione di conflittualità pregressa che entrambe le parti hanno contribuito a creare, dà la misura di quanto scarsa sia la conoscenza del fenomeno della violenza e rafforza l’uso strumentale della sovrapposizione tra il concetto di conflittualità e quello di violenza, introducendo – come si vedrà in seguito – una sorta di impunità per l’agita violenza che diviene reazione legittima ad una provocazione.
Non vi è poi alcuna indicazione di quali siano gli strumenti, le modalità e le procedure attraverso le quali, il mediatore, dovrebbe adoperarsi per impedire o risolvere le rilevate situazioni di violenza (segnalazione all’A.G.? attivazione di un percorso di fuoriuscita dalla violenza? Immediata messa in sicurezza del nucleo madre/minore?), lasciando situazioni di concreto pericolo per l’incolumità dei soggetti maltrattati alla discrezionalità del singolo mediatore, non dotato di una competenza specifica in materia, assolutamente necessaria per la piena tutela e fuoriuscita dalla violenza delle persone coinvolte.
d) All’art. 2 “Obbligo di riservatezza”, si prevede la segretezza degli atti e dei documenti del procedimento di mediazione e la relativa impossibilità di produrre detti atti e/o documenti nel procedimento giudiziale ad eccezione dell’accordo raggiunto.
Tale norma, vietando di porre all’attenzione dell’Autorità Giudiziaria, atti e documenti indispensabili per il convincimento del Giudice, limita di fatto la cognizione di quest’ultimo e ritarda pericolosamente la messa in sicurezza del genitore e/o minore vittime, “proteggendo” il genitore abusante.
e) All’art. 3 co. 1 relativo alla partecipazione del minore al procedimento di mediazione, si dispone che su consenso dei genitori, è prevista la partecipazione del minore, con età superiore ai 12 anni, al procedimento di mediazione.
In tali ipotesi, non è prevista alcuna specifica garanzia che tuteli il minore né vi è alcun richiamo alle garanzie previste dall’art. 16 co. 2, in caso di audizione dei minori dinanzi al Giudice.
f) Sull’art. 4 “Spese e compensi per il mediatore familiare”, in violazione dell’art. 24 Cost., si segnala l’onerosità del procedimento di mediazione senza alcuna previsione della possibilità di beneficiare del Patrocinio a Spese dello Stato. L’art. 4, prevede infatti la gratuità solo del primo incontro, ma nulla prevede per il prosieguo del percorso. Pertanto, i genitori non abbienti o uno solo di essi si troveranno costretti a sostenere spese per loro impossibili o ad abbandonare il percorso di mediazione dopo il primo incontro, con conseguente svuotamento della previsione legislativa stessa.

B) SULL’INTRODUZIONE DELLA FIGURA DEL COORDINATORE
GENITORIALE
Artt. 5 e 13

Tali norme prevedono che in caso di rifiuto o di esito negativo del percorso di mediazione, e qualora la conflittualità persista, il giudice potrà proporre ai genitori di nominare un coordinatore genitoriale, le cui spese, salvo diverso accordo tra le parti (e non salvo diversa disposizione del Giudice), saranno sostenute nella misura del 50% ciascuno.
Il coordinatore genitoriale, chiamato ad assistere i genitori con “alto livello di conflitto”nell’attuazione del piano genitoriale, a monitorarne l’osservanza ed a risolvere eventuali conflitti, preservando comunque la “sicura, sana e significativa” relazione tra il minore ed entrambi i genitori, si vede attribuire – su incarico delle parti – “poteri decisionali”.
Non vi è alcuna disposizione che preveda il vaglio delle decisioni assunte dal coordinatore né la rispondenza delle stesse al preminente interesse del minore.
Senza alcuna specificazione differente circa l’utilizzo del coordinatore genitoriale nei casi di violenza ed in un’ottica di de-giurisdizionalizzazione della materia, viene introdotta una figura privata che assume poteri decisionali ed al quale viene riconosciuto il compito di “gestire in via stragiudiziale le controversie insorte tra i genitori di prole minorenne relativamente al piano genitoriale”.
Non è prevista nessuna norma che assicuri la terzietà e l’imparzialità del coordinatore né il possesso da parte del medesimo di competenze specialistiche in materia di violenza che possa garantire un intervento efficace.

C) SULLA DECADENZA, SUL REGIME DI AFFIDAMENTO, SULLE MODALITÀ
DI FREQUENTAZIONE NELLE SITUAZIONI DI VIOLENZA ENDO-FAMILIARE
Artt. 9, 11, 12,14, 17 e 18

Malgrado la violenza rappresenti nel nostro Paese un fenomeno strutturale estremamente diffuso e nonostante la Convenzione di Istanbul abbia esplicitamente previsto all’art 31 che le parti debbano: “adottare misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli, siano presi in considerazione gli episodi di violenza …” il D.d.l. effettua un intervento legislativo del tutto contrapposto. Appare manifesta la volontà di ignorare il fenomeno della violenza e di eliminare ogni strumento utile ad intervenire ed a mettere in sicurezza chi la subisce.
Per la prima volta nel nostro sistema giudiziario si introducono due presunzioni ex lege dagli effetti disastrosi sulla tutela dei soggetti vulnerabili:
a) la presunzione della falsità ed infondatezza delle accuse di abusi e violenze psicologiche e fisiche.
b) la presunzione della alienazione genitoriale, priva di qualsivoglia fondamento scientifico.
La volontà del presente disegno di legge di ignorare le situazioni di violenza endo-familiare e di punire severamente presunte ed infondate ipotesi di alienazione genitoriale, appare evidente non solo dalla lettura coordinata degli artt. 9, 11, 12, 17 e 18 ma dalla volontà di un singolo, il Senatore Pillon che, in diverse interviste pubbliche, ha rappresentato come “il diffuso fenomeno delle false violenze”, rappresenti l’80% delle denunce presentare in corso di separazione  (cfr.:http://www.ilsussidiario.net/News/Cronaca/2018/9/13/AFFIDOCONDIVISO- Pillon-Lega-ho-messo-gli-interessi-dei-figli-al-centro-delmio- ddl/838805/), dato totalmente falso.
In particolare:
a) all’art. 11 co. 2 punti 1, 2, 3, 4, 5 relativo ai tempi paritetici da trascorrere con i figli vengono tipicizzate le ipotesi di “pericolo di pregiudizio per la salute psicofisica del minore”: violenza, abuso sessuale, trascuratezza, indisponibilità di un genitore, inadeguatezza degli spazi predisposti per la vita del minore da intendersi comprovate e motivate.
La prima osservazione critica che dà la misura di quanto questo provvedimento si ispiri a principi profondamente anticostituzionali che ledono il diritto alla salute e all’integrità psicofisica dei soggetti vulnerabili è che si ritiene che anche in caso di situazioni di violenza e di abuso sessuale “comprovate” (da una sentenza di condanna ad esempio), il Giudice per limitare la frequentazione debba comunque valutare se sussiste un comprovato e motivato pericolo di pregiudizio per la salute psicofisica del figlio minore. Ci si chiede, poi, se nella fattispecie tipizzata della violenza, richiamata dalla norma, sia compresa anche la “violenza assistita”.
Ad ogni modo, nei casi di comprovato e motivato pericolo di pregiudizio per il minore, il D.d.l. prevede espressamente che il giudice possa derogare, con provvedimento motivato, al principio della equipollenza dei tempi di frequentazione tra il minore e l’altro genitore (ex art. 11 co 2).
Ignorando l’ormai consolidata e pacifica giurisprudenza sul punto, non è espressamente previsto che – nei casi di violenza endo-familiare e di abuso sessuale – il Giudice debba pronunciare la decadenza della responsabilità genitoriale del genitore violento e/o abusante.
In dette ipotesi, secondo il D.d.l., il giudice potrebbe eventualmente – ed a sua totale discrezione – pronunciare la decadenza della responsabilità genitoriale, nei casi in cui, ritenga di far rientrare dette situazioni di violenza nella generica categoria delle “gravi inadempienze” o degli “atti che comunque arrechino pregiudizio al minore”.
b) In spregio alla consolidata giurisprudenza, ed in aperta violazione altresì dell’art. 31 della Convenzione di Istanbul, titolato “Custodia dei figli, diritti di visita e sicurezza” (“1 Le Parti adottano misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che, al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli, siano presi in considerazione gli episodi di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione. 2 Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che l’esercizio dei diritti di visita o di custodia dei figli non comprometta i diritti e la sicurezza della vittima o dei bambini”)alle situazioni di violenza ed abuso sessuale, non viene riconosciuta esplicita rilevanza neanche ai fini della pronuncia del regime di affidamento del minore(prevedendo l’affidamento esclusivo con esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale), intervento legislativo che la società civile e gli obblighi internazionali aspettano da tempo.
c) Per contro, il D.d.l. apporta modifiche profondamente peggiorative dell’attuale normativa vigente, aggravando le già carenti previsioni legislative.
L’art. 12 dispone che nei casi di comprovato e motivato pericolo di pregiudizio per il minore, ex art. 337 ter co. 2 (e pertanto nei casi di violenza, abuso sessuale ecc..), il giudice possa disporre temporaneamente l’affidamento dei figli ad un solo genitore, qualora ritenga – con provvedimento motivato – che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore Si evince da ciò, che anche nei comprovati casi di violenza ed abuso sessuale:

  • – Il giudice può disporre l’affidamento esclusivo ad un genitore, rimettendo, pertanto, detta pronuncia all’esclusiva discrezionalità e sensibilità del singolo magistrato;
  • – l’affidamento esclusivo disposto sarà in ogni caso temporaneo.

Ma vi è di più, anche nei casi di affidamento esclusivo:

  • – deve, in ogni caso, essere garantito il diritto del minore alla bigenitorialità;
  • – devono, in ogni caso, essere previsti adeguati tempi di frequentazione del minore con l’altro genitore;
  • – devono essere promosse non meglio definite “concrete azioni” per rimuovere le cause che hanno portato all’affidamento esclusivo.
  • – vi è inoltre l’obbligo in capo al genitore temporaneamente affidatario in via esclusiva – salva diversa, motivata e discrezionale disposizione del giudice – di favorire e garantire, in ogni modo, la frequentazione del figlio con l’altro genitore.

Appare evidente come non vi sia alcuna sostanziale attenzione all’interesse del minore ad una sana, serena ed equilibrata crescita ed alla tutela della sua integrità psicofisica né alcuna considerazione dei suoi desideri, dei suoi bisogni e delle sue volontà.
Il minore, anche se vittima di violenza (violenza assistita, maltrattamenti, violenza sessuale), salva diversa e discrezionale decisione del singolo Giudice – si troverà costretto a frequentare il genitore violento e abusante, con conseguente ulteriore esposizione del minore al rischio di reiterazione delle condotte violente ed a forme di rivittimizzazione oltre che al rischio di subire strumentalizzazioni, rivendicazioni che aggraveranno lo stato di sofferenza del medesimo. Sarà altresì esposto a forme di rivittimizzazione, strumentalizzazione e di rivendicazione anche il genitore affidatario in via esclusiva il quale –  malgrado le violenze subite – avrà l’obbligo di favorire e garantire, in ogni modo, la frequentazione del minore con l’altro genitore, e la bigenitorialità.
Il minore diviene così non solo oggetto delle volontà del genitore abusante ma anche strumento di rivalsa nei confronti dell’altro genitore. Nei casi di violenza, il genitore violento potrà continuare indisturbato ad agire violenza sull’altro genitore che dovrà paradossalmente attivarsi per garantire la frequentazione del minore. Ciò impedirà di fatto qualsivoglia forma di tutela per le vittime di violenza e l’impossibilità di fuoriuscire dalla violenza stessa.
d) Inoltre, non è previsto alcun onere in capo al genitore violento. Quest’ultimo, infatti, pur avendo gravemente violato i propri doveri genitoriali e causato pregiudizi e sofferenze al minore, vedrà impunemente riconosciuto il proprio diritto – e non quello del minore – alla frequentazione ed alla gestione condivisa dello stesso.
e) In questo quadro, non può non richiamarsi altresì l’art. 14, che rende impossibile per il nucleo genitore/minore vittime di violenza, fuggire dal luogo delle violenze e rifugiarsi in un luogo sicuro e protetto.L’art. 14, infatti, dispone che qualsiasi trasferimento del minore non preventivamente autorizzato da entrambi i genitori o dal giudice, deve essere ritenuto contrario al superiore interesse del minore e privo di ogni efficacia giuridica. Non è previsto alcun “giustificato motivo” che permetta ad un genitore di fuggire con il minore dall’abitazione familiare né viene previsto uno strumento volto a garantire l’immediato ed urgente accesso alla giustizia affinché il genitore possa ottenere in tempi compatibili con la messa in sicurezza del minore, una tempestiva autorizzazione del Tribunale che gli consenta di allontanarsi con il minore medesimo.
Ancor più grave è lo specifico compito affidato all’Autorità di Pubblica Sicurezza di ricondurre immediatamente – su mera segnalazione dell’altro genitore e non su ordine dell’Autorità Giudiziaria – il minore presso il luogo di residenza.
Emblematico è che non venga previsto neanche che l’Autorità di Pubblica Sicurezza, debba svolgere delle indagini (quantomeno sommarie) per verificare l’idoneità e la sicurezza della residenza familiare – così da garantire la sicurezza del minore – prima di ricondurre coattivamente il minore, presso la residenza che è il luogo dove ha subito le violenze.
La gravità e la pericolosità di detta disposizione appare di tale evidenza da non necessitare di ulteriori osservazioni.
f) Ad aggravare la situazione è l’intervento sanzionatorio previsto in caso di presunta e non comprovata manipolazione psichica e/o di falsità e/o infondatezza delle accuse di abusi e violenze psicofisiche. Ove si riscontrino, infatti, accuse di abusi e violenze psicofisiche, evidentemente false ed infondate ovvero non meglio definite manipolazioni psichiche, il Giudice – nei casi più gravi – può pronunciare (e questa volta si è espressamente previsto!), la decadenza della responsabilità genitoriale.
Non irrilevante è la terminologia utilizzata.
Gli articoli 11 e 12 richiedono, infatti, una “comprovata” e, pertanto, una accertata situazione di violenza ed abuso; l’art. 9, per contro, richiede un mero “riscontro” della falsità ovvero dell’infondatezza delle false accuse di violenza ed abuso.
L’intenzione di introdurre e punire asserite e non comprovate ipotesi di alienazione genitoriale emerge anche dalla lettura coordinata degli artt. 9, 17 e 18 del D.d.l..
L’art. 17 introduce, infatti, la presunzione ex lege dell’alienazione genitoriale prevedendo che il genitore – pur in assenza di evidenti condotte – sarà ritenuto responsabile di qualsivoglia rifiuto, alienazione o estraniazione che il figlio manifesti nei confronti dell’altro genitore.
L’art. 18, con lo scopo di rafforzare gli intenti punitivi, prevede che in detti casi, verranno applicate al genitore ritenuto presumibilmente (e non certamente), responsabile del comportamento del figlio, le misure già previste dall’art. 342 ter c.c. (allontanamento, divieto di avvicinamento ecc..) e le nuove misure previste dall’introdotto art. 342 quaterc.c., ovvero la pronuncia inaudita altera parte delle misure previste dall’art. 709 ter c.p.c. (tra cui rientra la decadenza della responsabilità genitoriale) nonché la limitazione o la sospensione della responsabilità genitoriale oltre che, l’inversione della residenza abituale del minore, la limitazione dei tempi di permanenza, ed il collocamento provvisorio del minore presso una struttura specializzata.
Sorprende che il D.d.l., pur introducendo una presunzione ex lege di alienazione genitoriale e pur prevedendo misure punitive particolarmente invasive ed interruttive del rapporto genitoriale (quali l’allontanamento, il divieto di avvicinamento, la limitazione, la sospensione e persino la decadenza della responsabilità genitoriale), non si preoccupi di prevedere l’audizione obbligatoria del minore (ove abbia compiuto gli anni 12 e anche di età minore ove capace di discernimento) prima dell’eventuale emissione del provvedimento.
Ciò non può non avvalorare la sottesa volontà del D.d.l., di estromettere il minore dalle decisioni che lo riguardano, e di impedire allo stesso, di motivare il proprio comportamento oppositivo verso l’altro genitore nonché, più in generale, di esprimere le proprie opinioni, desideri e volontà. Non vi è infatti negli artt. 9, 12, 17 e 18 alcun richiamo all’art. 16, il quale ad una prima lettura sembrerebbe applicarsi alla sola ipotesi di cui all’art. 337 ter
c.c..

D) SULLA ASSENZA DEGLI STRUMENTI DI ACCERTAMENTO

Tutto quanto sopra osservato, diviene ancor più pericoloso ove si consideri l’assenza di idonei strumenti processuali che permettano, nel rispetto dei tempi e delle esigenze di sicurezza del genitore e del minore vittime di violenza, la tutela della loro integrità psicofisica.
Ed infatti: quando la situazione di violenza si può ritenere “comprovata”? E’ sufficiente il decreto che dispone il giudizio, emesso dal Tribunale Penale o è necessaria una sentenza di condanna in primo grado o una sentenza definitiva? Come ovviare ai tempi processuali dei processi penali e civili tra loro profondamente differenti? Come armonizzare il principio di
presunzione di innocenza con il principio del prevalente interesse del minore a crescere in un ambiente che sia sano, sereno e sicuro? Quando e come può ritenersi “riscontrata” ed “evidente” la falsità e l’infondatezza delle accuse mosse da un genitore?
Tutti interrogativi ai quali il D.d.l. non offre risposte efficaci.
Il quadro appare ancor più grave e pregiudizievole, ove si consideri che malgrado le carenze e le criticità sopra descritte il D.d.l. prevede espressamente l’affidamento del minore ad altro nucleo familiare in caso di impossibilità di affidare il minore ai genitori (ex art. 12 co. 3) ovvero il collocamento dello stesso presso una struttura specializzata, nei casi previsti dall’art. 18 co 2.

E) ELIMINAZIONE DELL’ISTITUTO DELL’ADDEBITO

L’art. 19 del D.d.l. modifica l’art. 151 c.c., abrogando l’istituto dell’addebito nella separazione legale. Con l’entrata in vigore del D.d.l. sarà consentito violare i doveri coniugali di fedeltà, di assistenza morale e materiale (nel novero dei quali rientrano le situazioni di violenza endo-familiare), di collaborazione nell’interesse della famiglia e di coabitazione, senza incorrere in alcuna conseguenza. Si rileva che l’istituto dell’addebito, riveste nei procedimenti di separazione particolare rilevanza, non solo da un punto di vista psicologico per il coniuge vittima delle citate violazioni ma altresì, da un punto di vista normativo ed economico per le conseguenze che ne derivano. La pronuncia di addebito comporta infatti l’impossibilità per il coniuge ritenuto responsabile del fallimento dell’unione coniugale, di vedersi riconosciuto un contributo al mantenimento; il medesimo perde altresì, i diritti successori e di sovente subisce la condanna alle spese processuali, in virtù del principio della soccombenza.

F) PIANO GENITORIALE E TEMPI PARITETICI DI
FREQUENTAZIONE
Artt. 7, 8, 10, 11 e 13

1) Sul Piano genitoriale

a) Elemento centrale del D.d.l. consiste in un vero e proprio progetto di vita che i genitori decideranno ed imporranno al minore.
I genitori, dovranno prestabilire consensualmente, ed in modo dettagliato, i luoghi che il minore dovrà abitualmente frequentare; la scuola ed il percorso educativo; le eventuali attività extrascolastiche, sportive, culturali e formative del minore. I genitori potranno persino stabilire le frequentazioni parentali ed amicali del figlio, e le vacanze di cui normalmente godrà.
Il tutto, senza alcuna necessaria e prescritta considerazione delle attitudini, opinioni, esigenze e desideri del minore, il cui ascolto non è assolutamente previsto dalla normativa.
In spregio della normativa nazionale, comunitaria e internazionale, si reintroduce, il diritto dei genitori di decidere sul futuro dei loro figli e ciò, non solo senza considerazione alcuna delle loro volontà ma, altresì, senza prevedere strumenti legislativi che permettano al minore, di adire l’Autorità Giudiziaria, in caso di disaccordo sul piano genitoriale imposto dai genitori.
Appare inequivocabile come detta disposizione, rappresenti una grave regressione nel passato, reintroducendo – di fatto – il concetto di potestà genitoriale (in luogo della “responsabilità genitoriale”) ed eliminando qualsivoglia riconoscimento del diritto del minore ad essere ascoltato nelle questioni che lo riguardano.
b) Ciò appare ancor più grave, ove si consideri il ruolo assolutamente marginale che viene riconosciuto al Giudice, il quale, senza poter adottare strumenti valutativi, potrà unicamente valutare la contrarietà del piano genitoriale all’interesse del minore. In tale ultima ipotesi, il Giudice – ove dovesse ritenere il piano genitoriale contrario all’interesse del minore ovvero ove i genitori non dovessero trovare un accordo – dovrà delineare il piano genitoriale, previa (e questa volta si!) audizione del minore (ex art. 16).
c) Tuttavia rispetto all’audizione del minore, l’art. 16 specifica che sono vietate le domande manifestamente in grado di suscitare conflitti di lealtà da parte del minore verso uno dei genitori (ex art. 16 co 2). Nella relazione illustrativa, paradossalmente, vengono vietate domande al minore dirette a verificare la volontà del medesimo di stare con uno o con l’altro dei genitori ovvero domande potenzialmente in grado di suscitare preferenze verso uno dei genitori.
Viene quindi di fatto svuotato di significato l’istituto dell’ascolto del minore, specialmente ove si consideri che la responsabilità di qualsivoglia eventuale ritrosia del minore ad avere relazioni con un genitore, ricadrebbe sull’altro genitore ex art. 17 e 18.
d) Il piano genitoriale appare, inoltre, di difficile applicazione.
I genitori dovranno regolamentare dettagliatamente l’intera esistenza del minore, anche nei suoi aspetti personali e privati, per un arco temporale indefinito.
Una pre-pianificazione dettagliata della vita del minore impedirà di considerare il modificarsi delle esigenze, dei desideri e delle opinioni del medesimo, cristallizzando nel tempo le decisioni per lui assunte dai genitori, con la estromissione del minore stesso dalle decisioni che lo riguardano.
Ed ancora, l’inevitabile modificarsi nel tempo delle esigenze, anche organizzative, della vita del minore ovvero dei genitori, genererà inevitabilmente la necessità di modificare (consensualmente o giudizialmente) il piano genitoriale, con conseguente incremento di azioni giudiziarie (ex art. 13).
In tali ipotesi, qualora i genitori non trovino un accordo sul nuovo piano genitoriale, potrebbero essere nuovamente invitati dal Giudice, a svolgere un percorso di mediazione familiare (con ulteriori spese ed oneri a loro carico), o soccombere ancora alla nomina di un coordinatore genitoriale al quale affidare poteri decisionali.
2) Sui tempi paritari ed equipollenti di frequentazione genitoriale.
Nonostante l’apparente intenzione del D.d.l. di attuare una riforma rispondente al diritto del minore a trascorrere con entrambi i genitori tempi paritetici o equipollenti, appare evidente la diversa volontà di codificare il diritto dei genitori – e non del minore – a trascorrere tempi paritari con il figlio per far decadere, l’istituto del contributo al mantenimento, e dell’assegnazione della casa familiare.
Senza alcuna considerazione:
* delle diverse esigenze dei minori dovute all’età;
* delle condizioni e delle loro abitudini di vita;
* degli impegni scolastici, extrascolastici, sportivi e ricreativi;
* delle oggettive difficoltà dovute alla distanza tra le abitazioni genitoriali
ovvero della distanza tra il “doppio domicilio” del minore e l’istituto scolastico ed i luoghi dal medesimo abitualmente frequentati.
Il D.d.l. prevede, salvo oggettivi e non meglio definiti elementi ostativi, una netta parificazione dei tempi di frequentazione genitoriale del minore che, salvo comprovato e motivato pericolo di pregiudizio per il minore (vedi sopra), non potranno essere inferiori a 12 giorni al mese, compresi i pernotti. Il minore sarà quindi “spostato” da una abitazione ad un’altra, privato di una dimora principale e per metà del suo tempo privato del suo principale contesto di appartenenza.
Il minore oggetto del “piano genitoriale” deciso dai propri genitori, sarà diviso tra due vite.
Tutto ciò contrasta con il principio del prevalente interesse del minore a vivere una vita sana, equilibrata, serena e rispondente alle sue necessità, morali e materiali, e rende manifesta l’assenza di qualsivoglia considerazione del diritto ad avere una stabile organizzazione di vita, centrata sui propri bisogni affettivi e sociali e del diritto di vivere
maggiormente nel luogo ove si svolgono le sue principali attività di vita (scuola, palestra ecc.).
Un quadro così delineato incrementerà inevitabilmente la conflittualità tra i genitori ed il ricorso all’Autorità Giudiziaria.

G) SULLE DISPOSIZIONI DI CARATTERE ECONOMICO

1) Sul mantenimento diretto del figlio minore

a) Sulla scorta della parificazione dei tempi di frequentazione, viene introdotto l’istituto del mantenimento diretto del minore che pregiudicherà, inevitabilmente, l’equilibrio economico tra i genitori e la ripartizione degli oneri familiari.
E’ incontestabile che la donna patisca una profonda discriminazione nel mercato del lavoro e nel trattamento salariale e che sia la figura genitoriale che maggiormente si fa carico dei compiti di cura dei figli.
La donna sarà quindi prevalentemente il genitore economicamente più debole ed i minori si troveranno a godere di un tenore di vita più agiato, quando saranno con un genitore, e di uno inevitabilmente più modesto, quando saranno con l’altro.
Ciò determina un disequilibrio tra i ruoli e le funzioni genitoriali. Il minore, potrebbe percepire una visione “monetaristica” del rapporto genitoriale, avvertendo il “potere economico” quale discrimine tra un genitore e l’altro, con grave nocumento del ruolo educativo di entrambi i genitori.
b) Non vi è poi nessuna previsione normativa che deroghi al mantenimento diretto, nei casi in cui un genitore non ottemperi alle modalità di frequentazione – e pertanto non tenga con sé il figlio come stabilito – con conseguente ricaduta degli oneri economici sull’altro genitore senza possibilità di far ricorso a strumenti di tutela quali, a titolo esemplificativo, l’art. 614 bis c.p.c. “Attuazione degli obblighi di fare infungibile o di non
fare”.
c) Solo ove strettamente necessario, e solo in via residuale, il Giudice potrà disporre un assegno periodico ma solo per un tempo determinato. In tal caso, il Giudice, dovrà indicare la scadenza del contributo al mantenimento, e specificare, quali iniziative devono essere intraprese dalle parti per giungere al mantenimento diretto della prole. Tale previsione, sembra non tener conto della realtà sociale ed economica che rende impossibile prevedere l’emancipazione economica di un genitore.
2) Sul mantenimento del figlio maggiore di età
Breve inciso merita, altresì, l’art. 15 del D.d.l. che impone al Giudice, in caso di richiesta del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente di un contributo al suo mantenimento, di disporlo a carico di entrambi i genitori, senza considerare diverse situazioni che potrebbero sussistere: ad esempio, la circostanza dell’eventuale convivenza del figlio maggiore di età presso l’uno o l’altro genitore che comporta già una spesa ulteriore gravante su un olo genitore.
Ciò che poi stride con la realtà sociale ed economica, è prevedere la cessazione di ogni obbligo contributivo, al raggiungimento del 25° anno di età in un Paese dove il sistema universitario e quello di accesso al mercato del lavoro, costringe i giovani a intraprendere corsi post-lauream, master e scuole di specializzazione che, inevitabilmente, si procrastinano ben oltre il 25° anno di età.
3) Sulla casa familiare
Strettamente legato alla questione del mantenimento diretto, ed alle gravissime conseguenze che ne discendono, è quanto statuito dall’art. 14 che dispone, l’impossibilità, per il genitore che non vanti sulla casa familiare specifici diritti e/o titoli, di rimanervi a vivere. Ciò, a prescindere dal preminente interesse del minore a conservare l’habitat domestico – inteso come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si è articolata la vita familiare – dall’eventuale decadenza della responsabilità genitoriale, dal regime di affidamento e dai regolamentati tempi di frequentazione del minore stesso.
Anche nel caso in cui sia sospesa la frequentazione tra il minore ed il genitore proprietario dell’abitazione, l’altro genitore sarà costretto, unitamente al minore, ad allontanarsi dalla casa familiare. Nel caso in cui il genitore sia comproprietario o titolare di un diritto sull’ex abitazione familiare, sarà invece il Giudice, in caso di disaccordo tra le parti, a decidere il genitore che potrà continuare a risiedervi. In tale ipotesi, però, il genitore che rimarrà nell’abitazione dovrà corrispondere all’altro un indennizzo pari al canone di locazione, computato, persino, sulla base dei correnti prezzi di mercato; ciò determina ancora una volta la grave conseguenza che il genitore economicamente più debole ed il minore vengono pregiudicati.
In conclusione, appaiono chiari gli interessi privatistici ed economici perseguiti dal D.d.l. che, in spregio alle normative sovranazionali e nazionali ed alla evoluzione giurisprudenziale in materia di diritto di famiglia, riporta questo Paese indietro di secoli, rievocando gli squilibri dei rapporti familiari tipici della famiglia patriarcale, autoritaria e “tradizionale” (il richiamo costante nella relazione illustrativa ai genitori intesi come padre/uomo e madre/donna è anacronistico oltre che antidemocratico), disegnando così un sistema tribale dove incombe la “legge del più forte”.

UFFICIO LEGALE DI BE FREE
AVV.TA SABRINA FIASCHETTI
AVV.TA CARLA R. QUINTO

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