Articolo di Befree di smentita a Repubblica

Pubblichiamo una nostra lettera, che abbiamo inviato anche al direttore di Repubblica, su come sono andate veramente le cose riguardo Faitha, la donna proveniente da CARA di Castelnuovo di Porto. Perchè è un nostro dovere lottare contro leggi e sistemi ingiusti, ma anche dire la verità

Gentile Direttore,

mi chiamo Francesca De Masi e faccio parte della cooperativa Be free contro tratta violenze e discriminazioni.

Le chiedo di pubblicare questa mia lettera, che smentisce alcune delle affermazioni relative al l’articolo a firma di Alessandra Ziniti, del 2 febbraio 2019 , relativa alla donna nigeriana proveniente dal CARA di Castelnuovo di Porto.

Faitha è stata una delle poche a non essere stata  mandata via dal CARA, ma ad attuare un trasferimento scelto in precedenza, con il sostegno di Be Free, presso una struttura SPRAR, come suo diritto, in quanto titolare di protezione internazionale, e non richiedente asilo, come scritto nell’articolo.

La prima richiesta di trasferimento in SPRAR, infatti, fatta da Be free cooperativa direttamente al Servizio Centrale, risale al 30 NOVEMBRE 2018. A questa sono seguiti diversi solleciti, sia scritti che telefonici, a cui è stata data una risposta da parte dello stesso Servizio Centrale solo in data 15 gennaio 2019.  Be free quindi ha dialogato sia con il Servizio Centrale che, successivamente,  con lo SPRAR designato all’accoglienza, per circa due mesi prima che la partenza potesse effettuarsi. Proprio il momento della concretizzazione del trasferimento ha coinciso, è vero,  con il  marasma inaspettato della chiusura del CARA di Castelnuovo, di cui Be free in diversi articoli e interviste ha condannato la modalità, caratterizzata da trasferimenti arbitrari e disumanizzanti, evidenziando allo stesso tempo e a differenza del vostro giornale, le carenze di un sistema d’accoglienza paradossale:  una struttura elefantiaca  che “ospita” 600 persone, in alcun modo adeguata a garantire il rispetto dei diritti umani.

A quel punto, io stessa ho chiamato lo SPRAR di Lecce, chiedendo che per favore accogliessero Faitha: si era creato un problema burocratico legato alla richiesta da parte della struttura SPRAR che richiedeva il possesso del modello C3 (documento previsto per la richiesta di asilo non per chi, come Faitha, ha già ottenuto l’asilo politico) e la referente, comprendendo la situazione, ha dato l’ OK. Era urgente, che Faitha fosse trasferita, atteso lo stato di gravidanza e la sua volontà di non rimanere nel CARA, attendendo questo trasferimento da tempo, avendo Be Free inviato la richiesta di accoglienza molti mesi prima (e la data della nostra richiesta lo può dimostrare).

Be free conosce Faitha da molti mesi, da quando è stata segnalata alla nostra cooperativa dalla Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Roma, che aveva   rilevato l’esistenza nel suo racconto di alcuni possibili  “indicatori” di tratta.

Sono stati necessari diversi colloqui, ma con l’acquisizione di reciproca fiducia tra lei e le operatrici, è riuscita finalmente ad aprirsi e a raccontare la sua storia. Una storia purtroppo comune a molte delle donne nigeriane che Be free segue da anni: portata in Italia con l’inganno e la falsa promessa di un lavoro e una vita migliore, si è ritrovata intrappolata nelle maglie dello sfruttamento sessuale, avendo il coraggio di affrancarsene da sola, e di far perdere le tracce ai suoi trafficanti, dal dicembre 2017: ben prima che un ente antitratta la intercettasse, ha avuto la forza di liberarsi in maniera autonoma. In seguito alle nuove e più dettagliate dichiarazioni che poi Be free ha inviato alla Commissione, ha ottenuto lo status di  rifugiata: Faitha quindi non è una richiedente asilo, come erroneamente scritto nell’articolo ma è una donna titolare di protezione internazionale.

Faitha ha anche un fidanzato: è il padre della bambina, si trova in Nord Italia, e per quanto per gli enti antitratta sia sempre molto difficile rapportarsi con i fidanzati, che siano italiani o stranieri, delle donne seguite, per motivi che si possono facilmente intuire, rispettiamo la narrazione che di questi ci fanno le donne, prime protagoniste della loro vita e che noi non vogliamo né possiamo sovradeterminare, schiacciandole in un ruolo di vittime passive e incapaci di autodeterminarsi. La bambina quindi non è il frutto di una violenza, come ipotizzato nell’articolo, ma di una scelta che Faitha, pure nella sua giovanissima età, ha compiuto e su cui nessuno e nessuna di noi ha il diritto di avere voce in capitolo.

Ci si può chiedere perchè non stesse in struttura protetta: anche questo è il frutto di una sua legittima scelta.

Le donne che noi incontriamo hanno il diritto di scegliere la procedura da seguire, se quella dell’asilo politico o quella della protezione sociale (ex art. 18 T.U. d.to leg.vo 286/98). Hanno diritto  di scegliere se entrare in struttura protetta art. 18, case di fuga a indirizzo segreto, o accedere al sistema dello SPRAR. Abbiamo fatto più volte questa domanda a Fathia, e lei ci ha risposto, con l’orgoglio negli occhi, che lei si era liberata da sola dai suoi sfruttatori, e che non aveva bisogno delle misure di sicurezza messe in campo dalle strutture protette, che possono risultare anche soffocanti, per una giovane donna che non si sente in pericolo, o che in pericolo non lo è più. Chi lo dice che non si trova in pericolo? Lo dice lei stessa. E noi le crediamo. Per questo motivo ci siamo accordate con lei per una richiesta allo SPRAR, che noi abbiamo fatto, in accordo con lei, appena ricevuto lo status di rifugiata.

Forse sarebbe il caso di evidenziare che se si fossero evitare lungaggini burocratiche, Faitha non sarebbe stata trasferita nell’imminenza di un parto.

Quando mercoledì mattina l’ho accompagnata alla stazione Termini (ebbene sì, sono stata io a “metterla sul treno”), era felice di poter finalmente lasciare quel luogo. Quando è arrivata a Lecce, il mercoledì all’ora di pranzo, non il giovedì sera, come scritto nell’articolo, mi ha chiamata serena, e io le ho promesso che quest’estate sarei andata a trovare lei e la sua bambina, essendo salentina e avendo la mia famiglia proprio a pochi km dalla sua nuova casa.

La bambina è nata il giorno dopo: dentro di me ho pensato che Faitha aveva mantenuto la promessa che aveva fatto a se stessa, cioè quella di non partorire mentre era a Castelnuovo.

Non c’è bisogno di rincorrere lo scoop a tutti i costi, o di strumentalizzare le notizie, addirittura esibendo foto di lei e della neonata (dove è la tutela della sua privacy e della sua protezione, considerato che comunque è una ex vittima di tratta?) per  far capire alle persone quanto il nostro sistema sia caduto in basso, e sia sempre più ostile nell’accoglienza delle persone migranti. Basta leggere tutti gli episodi di xenofobia che le colpiscono, o gli episodi di criminalizzazione della solidarietà, sia delle Associazioni, sia dei migranti stessi, che con coraggio cercano di aiutarsi l’uno con l’altro, nell’indifferenza generale.

La responsabilità è di tutti noi e di tutte noi. La responsabilità è di un sistema sempre più claustrofobico, che non fa respirare, e che permette  che sia fatto scempio dei diritti umani. Nessuno  abbia la presunzione di sentirsi assolto!