NOTE TECNICHE SUI D.D.L. N. 45, 768, 118
Introduzione
Seguono alle note relative al D.d.L. 735, osservazioni sugli ulteriori D.d.L. presentati ovvero il D.d.L. n. 45 (“disposizioni in materia di tutela dei minori nell’ambito della famiglia e nei procedimenti di separazione personale dei coniugi” – d’iniziativa dei Sen. De Poli, Binetti e Saccone), il D.d.L. n. 768 (“Modifiche al codice civile e al codice di procedura civile in materia di affidamento condiviso dei figli e di mediazione familiare” – d’iniziativa dei Sen. Gallone, Modena, Malan, Ronzulli, Toffanin, Damiani, Galliani, Giammanco, Papatheu e Moles) ed il D.d.L. n. 118 (“Norme in materia di mediazione familiare nonché modifica dell’art. 337 octies c.c., concernente l’ascolto dei minori nei casi di separazione dei coniugi” – d’iniziativa del Sen. De Poli).
I)
Disegno di Legge n. 45
Sulla medesima scia del D.d.L. n. 735, (rel. Sen. Pillon), il D.d.L. n. 45:
1) avvalora ed enfatizza la teoria dell’alienazione genitoriale (c.d. PAS), prevedendo altresì specifiche fattispecie di reato per il genitore c.d. “alienante”;
2) mina l’emersione e la punibilità delle situazioni di maltrattamento, sminuendone la gravità sociale e la profonda pregiudizialità che arreca ai soggetti vulnerabili, tra cui i figli minori;
3) elude il concetto di violenza includendolo impropriamente nel concetto di conflittualità;
4) introduce il percorso obbligatorio di riconciliazione nei procedimenti di separazione personale dei coniugi;
5) reintroduce il concetto di potestà genitoriale.
Malgrado le violenze intra-familiari rappresentino nel nostro Paese un fenomeno strutturale estremamente diffuso che necessita ormai da tempo di un intervento legislativo volto a tutelare prontamente ed efficacemente le vittime, siano esse adulti e/o figli minori (cfr.: Commissione di inchiesta sul femminicidio, 2018), si continua ad utilizzare impropriamente il termine di conflittualità come una sorta di “contenitore terminologico generale” che alimenta confusioni e strumentalizzazioni. Atteso ciò, si vuole ribadire come la violenza consista nella volontà del soggetto che la agisce di generare nella vittima dolore, frustrazione e più in generale un danno (fisico e/o psicologico) irreversibile o comunque prolungato nel tempo. Nelle situazioni di violenza non vi è alcuna parità di posizionamento tra il soggetto che la agisce ed il soggetto che la subisce, il primo infatti predomina sull’altro, assoggettandolo. La violenza, appartiene quindi all’area della distruzione e della sopraffazione, e pertanto all’eliminazione della relazionale. Parrebbe superfluo ma, a questo punto diviene necessario specificare come, gli abusi fisici, gli abusi sessuali, i maltrattamenti intra-familiari, gli abusi psicologici rientrino ovviamente in questa categoria. Il conflitto, per contro, è un contrasto, una divergenza, uno scontro/confronto legittimo attraverso l’uso della parola tra due soggetti che ricoprono una posizione di parità che esclude componenti di dannosità. Appare ormai indispensabile, alla luce delle avvilenti notizie che giornalmente emergono dalle cronache giudiziarie ed all’uso improprio che si fa dell’infondata teoria dell’Alienazione genitoriale – PAS – che si ponga fine all’ambiguo, fuorviante ed a volte strumentale uso distorto del termine “conflittualità”.
Invero, anche il D.d.L., n. 45, utilizza il termine conflittualità senza distinguerlo dalla violenza (fenomeno peraltro assolutamente non considerato) ed in spregio alle posizioni già assunte dal mondo accademico – che ne disconoscono l’esistenza scientifica – avvalora ed enfatizza la teoria dell’alienazione genitoriale (c.d. PAS). Ciò emerge già dalla Relazione Illustrativa, nella quale si esordisce richiamando “i frequenti casi di sindrome di alienazione genitoriale (PAS)”. In particolare, il D.d.L. n. 45, senza alcun conforto, asserisce che “lo studio della casistica evidenzia” come il diritto dei minori alla bi-genitorialità sia “sistematicamente prevaricato da un indecifrabile interesse del minore che si concretizza nell’esclusione di un genitore dalla vita dei figli”, e come a causa di ciò “si riscontri un’alta percentuale di minori disadattati che evidenziano sintomi della menzionata PAS…”.
Del tutto impropriamente inoltre, il D.d.L. n. 45, asserisce come la frequentazione del genitore (definito) non affidatario si limiti nel trascorrere con il figlio “un fine settimana alternato e 15-30 giorni del corso dell’estate”, circostanza assolutamente non rispendente alla realtà. Sulla scorta di ciò, i Senatori proponenti, senza mai considerare in alcun modo le possibili situazioni di violenza intra-familiare, propongono modifiche legislative di ampio respiro che vanno dal diritto civile al diritto penale ed in particolare:
- a) l’art. 1, in modifica dell’attuale art. 706 c.p.c., specifica come nel caso in cui i genitori non riescano a concordare il previsto “progetto educativo” del minore (di cui si dirà in seguito), le differenti proposte saranno valutate dal Giudice a cui sarà rimessa la decisione finale. Si specifica, nella Relazione, come “allo scopo di scoraggiare atteggiamenti possessivi”, il Giudice dovrà privilegiare per la convivenza “il genitore più corretto e disponibile…meglio disposto a lasciare spazio all’altro e a rispettarne la figura ed il ruolo”.
Appare emblematica la correlazione tra i citati “atteggiamenti possessivi” e la richiamata “PAS”, specialmente ove si consideri l’assoluta non considerazione delle situazioni di violenza intra-familiare che ben potrebbero determinare un genitore ad assumere atteggiamenti “protettivi” e non “possessivi” nei confronti del minore;
- b) ponendo nuovamente a fondamento della proposta di modifica legislativa, una valutazione/presunzione del tutto soggettiva e priva di qualsivoglia conforto, si introduce la “doppia residenza anagrafica del minore”. L’art. 2, infatti, come chiarito nella Relazione, “affronta il problema del trasferimento di uno dei genitori in una località remota…spesso deliberatamente cercato… (soltanto per tagliare del tutto i ponti con il proprio passato o per andare incontro a una nuova scelta di vita) …in totale contrasto con le esigenze dei figli”. Con l’intento di ovviare a tale asserito problema il D.D.L. n. 45, propone di prevedere che la residenza anagrafica dei figli sia fissata presso entrambi i genitori. A ben vedere però il problema non sussiste. Invero, fatti salvi i casi in cui un genitore sia decaduto dalla responsabilità genitoriale ovvero il Tribunale abbia disposto, senza specifiche prescrizioni, l’affidamento il c.d. super esclusivo (ex art. 337-quater, co 3 c.c.) ad un solo genitore, il trasferimento della residenza del minore necessita inderogabilmente del consenso di entrambi i genitori ovvero, in mancanza, dell’autorizzazione del Tribunale.
Eventuali comportamenti arbitrati di un genitore vengono già oggi debitamente valutati e censurati con attenzione dall’Autorità Giudiziaria anche attraverso l’applicazione delle misure sanzionatorie previste dall’art. 709 ter c.p.c., senza poi considerare le eventuali conseguenze di natura penalistica.
L’introduzione della doppia residenza anagrafica del minore, inoltre, non solo inciderebbe sul concetto civilistico di “dimora abituale” (ex art. 43 c.c.), comportando altresì una serie di criticità legate al requisito stessa della residenza (quali, a titolo esemplificativo, l’accesso del minore ai servizi pubblici sanitari – ASL, medico di base, pediatra, servizi sociali – e scolastici) ma di certo non ovvierebbe concretamente al problema dei casi di “illecito” trasferimento del minore, che potrebbe in ogni caso essere arbitrariamente trasferito di fatto in altro domicilio;
- c) ancor più emblematici sono gli interventi effettuali in ambito penalistico.
*art. 4 modifica l’art. 570 c.p. (violazione degli obblighi di assistenza familiare) attribuisce rilevanza penale alla condotta del genitore che “attua comportamenti che privano – i minori – della presenza dell’altra figura genitoriale”. Non viene espressamente prevista però alcuna ipotesi di “giustificato motivo”, quale quello – ad esempio – di dover proteggere il minore dai comportamenti abusanti, maltrattanti e/o comunque gravemente pregiudizievoli per il minore, né vengono introdotte eventuali procedure emergenziali che garantiscano la tempestiva messa in sicurezza del minore stesso.
In tali casi, pertanto, il reato si configurerebbe lo stesso salvo poi ricorrere ad eventuali cause di esclusione del reato (quali ad esempio lo stato di necessità ex art 54 c.p., l’adempimento di un dovere ex art. 51 c.p., l’art. 40 comma 2 c.p.).
Rimane comunque emblematica la circostanza che non si sia avuta la premura di considerare né le eventuali situazioni di violenza né l’effetto deterrente che questa previsione potrebbe generare nelle vittime.
Per contro, seppur nella Relazione, si rileva come “la presenza nella vita dei figli non deve rappresentare una facoltà che si può non esercitare o di cui si può privare l’altro, ma un diritto-dovere per il quale è prevista tutela e al quale non ci si può sottrarre”, l’art. 4, nel sostituire l’attuale formulazione dell’art. 570 c.p., elimina il richiamo agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale ed i relativi rimandi agli artt. 147 c.c. ed all’art. 316 c.c., riconoscendo rilevanza penale ai soli casi in cui il genitore si sottrae agli obblighi di assistenza, cura ed educazione dei figli minori; non prevede alcuna misura sanzionatoria che incida (così come previsto per il reato di calunnia ex art. 3, di cui si dirà in seguito) sull’esercizio della responsabilità genitoriale del genitore inadempiente ed introduce un possibile affievolimento delle misure sanzionatorie prevedendo che il Giudice, quando ne ravvisi l’opportunità, può applicare, anche d’ufficio, in luogo delle pene detentive o pecuniarie, le pene del “lavoro di pubblica utilità”, affievolendo quindi le conseguenze sanzionatorie del comportamento illecito.
Pertanto, se per un verso si introduce la punibilità della condotta del genitore che priva il minore della presenza dell’altro genitore, per altro verso, si prevede la limitazione ed il possibile affievolimento dell’intervento sanzionatorio a carico del genitore che si sottrae ai propri obblighi genitoriali.
* art. 5 in modifica dell’art. 572 c.p. (attualmente rubricato: maltrattamenti contro familiari e conviventi), attua l’intervento maggiormente scriminante e restrittivo rispetto alle situazioni di violenza intra-familiare, restringendo il campo di applicazione della norma, minando fortemente la perseguibilità del reato e diminuendo le pene edittali. In particolare, l’art. 5:
- attuando una regressione nel passato, restringe nuovamente il campo di applicazione della norma alle sole situazioni di violenza consumatesi all’interno della famiglia in senso stretto, escludendo le situazioni di convivenza di fatto. Ciò emerge sia dalla rubricazione del reato che torna ad essere “maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli” sia dal testo del nuovo art. 572 c.p. ove viene eliminato il richiamo al “convivente”;
- fa riferimento alle sole ipotesi di violenza fisica o psichica con esclusione delle ulteriori condotte oggi ritenute penalmente rilevanti quali la violenza psicologica ed economica;
- introduce il concetto di “sistematicità” della violenza fisica o psicologica. L’attuale requisito della abitualità della condotta maltrattante viene pertanto sostituito dal requisito della “sistematicità” (cfr.: art. 5: “chiunque…usa sistematicamente violenza fisica o psichica nei confronti di una persona della famiglia”), requisito che, come può agevolmente desumersi, restringerà il campo di applicazione della norma alle sole ipotesi in cui le violenze siano sistematiche, ovvero regolati e costanti nel tempo, senza considerare che nella relazione violenta possono verificarsi riconciliazioni o “periodi di normalità”.
Tale proposta di modifica legislativa rende evidente come i Senatori proponenti non conoscano il fenomeno della violenza, che si caratterizza anche per i c.d. “periodi di luna di miele” ovvero periodi di apparente “tranquillità” e riconciliazione, di solito immediatamente successivi alle aggressioni, in cui l’aggressore interrompe momentaneamente la condotta illecita, chiedendo perdono, e la vittima pone in essere comportamenti accondiscendenti nei confronti del soggetto maltrattante per evitare ulteriori aggressioni e/o nella speranza che si determini un cambiamento in positivo del rapporto per il bene dei figli e l’unità familiare.
- diminuisce le relative pene edittali. Dagli attuali dai 2 ai 6 anni nei casi previsti dal 1 comma si passa ai dai 1 ai 5 anni; dai 4 ai 9 anni in caso venga cagionata una lesione personale grave si passa ai da 4 a 8 anni; rimane ferma la pena dai 7 ai 15 anni in caso venga cagionata una lesione personale gravissima ma si riduce quella prevista per i casi di morte che dai 12 ai 24 anni viene diminuita ai dai 12 ai 20;
- Inoltre, malgrado si introduca il requisito restrittivo della “sistematicità” del comportamento maltrattante, per altro verso, si prevede l’ipotesi della “minore gravità” del fatto. In tali casi, il Giudice, anche d’ufficio e senza che sia previsto alcun ascolto della vittima, può applicare al soggetto dichiarato colpevole, la pena del lavoro di pubblica autorità, disconoscendosi così la gravità, anche sociale, del comportamento violento.
* art. 3 modifica l’art. 368 (calunnia). Malgrado l’inevitabile impatto processuale che comporterebbe l’intervento restrittivo effettuato sulle ipotesi delittuose del reato di maltrattamenti (basti pensare all’introduzione del concetto di sistematicità della condotta in luogo a quello dell’abitualità), si avanza all’art. 3, una proposta di modifica legislativa volta ad introdurre quale pena la “sospensione della potestà genitoriale” qualora il reato di calunnia sia commesso da un genitore a danno dell’altro. Come noto il reato di calunnia, consiste nell’incolpare falsamente dinanzi l’Autorità Giudiziaria un soggetto di aver commesso un reato pur sapendolo innocente.
Ciò posto, ove un genitore denunci l’altro per maltrattamenti ma il procedimento dovesse naufragare (ad esempio seppur abituale la condotta viene ritenuta non “sistematica”) l’eventuale assoluzione del denunciato potrebbe legittimare l’apertura di un procedimento penale per il reato calunnia a carico della denunciante, a cui potrebbe seguire l’applicazione a carico di quest’ultima della sanzione della “sospensione della potestà genitoriale”.
Naturalmente in detti casi la dimostrazione dell’elemento della conoscenza dell’innocenza del denunciato avrà fondamentale rilevanza nel procedimento penale per calunnia, ciò non toglie che la vittima dei maltrattamenti sarà maggiormente esposta a strumentali denunce per calunnia, con conseguenti effetti deterrenti sulle vittime stesse che potrebbero decidere di non denunciare per paura di vedersi applicate sanzioni penali che incidono sulle loro funzioni genitoriali e sulla relazione genitore/figlio.
Detta proposta di modifica legislativa (che deve necessariamente leggersi congiuntamente alla proposta di modifica dell’art. 572 c.p. – ex art. 5), oltre a rintrodurre il concetto di “potestà genitoriale” in luogo di quello della “responsabilità genitoriale”, prevede pertanto l’introduzione di misure afflittive che incidono direttamente sulla relazione genitore/figlio-a, privando il genitore ritenuto colpevole del reato di calunnia della possibilità di svolgere il proprio ruolo genitoriale. Non è altresì chiaro se la misura della “sospensione della potestà genitoriale” sia da considerarsi una pena accessoria da cumularsi alla pena edittale principale.
Sorprende però che la medesima misura sanzionatoria della “sospensione della potestà genitoriale” (ergo responsabilità) non sia stata espressamente prevista anche per le ipotesi delittuose in cui il genitore maltratti i propri familiari e/o il figlio minore ovvero non adempia ai propri doveri genitoriali (ex artt. 570 e 572 c.p.), previsione che per contro avrebbe rappresentato un segnale di riconoscimento e di tutela delle situazioni di violenza e/o di negligenza genitoriale.
- d) relativamente alle proposte di modifica di natura civilistica, in aggiunta a quanto rappresentato ai punti lett. a e b., malgrado la Convenzione di Istanbul preveda espressamente all’art 31 che le parti debbano adottare “misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli, siano presi in considerazione gli episodi di violenza …” ed all’art. 48che le parti debbano adottare “misure legislative o di altro tipo destinate a vietare i metodi alternativi di risoluzione di conflitti tra cui la mediazione e la conciliazione, per tutte le forme di violenza…”, il D.d.L., n. 45 all’art. 1 a modifica dell’art. 706 c.p.c., propone:
* l’introduzione dell’obbligatorietà di percorso di riconciliazione nei procedimenti di separazione personale dei coniugi. Con l’intento di “fornire” o sarebbe meglio dire “imporre” ai genitori uno “strumento per impostare correttamente un nuovo tipo di vita familiare”, il D.d.L. n. 45 prevede che le parti, prima di avviare un procedimento di separazione, devono obbligatoriamente intraprendere un percorso di “riconciliazione” volto a prendere “coscienza dei problemi scaturenti dalla separazione riguardo ai figli” e ad elaborare le “modalità di sostegno per i figli minori” (cfr.: Relazione).
Detto “effettivo e concreto” percorso di “tentativo di riconciliazione” dovrà essere svolto presso apposite strutture pubbliche o private e la documentazione attestante l’avvenuta partecipazione al percorso dovrà essere allegata al ricorso introduttivo. Ciò posto:
- seppur non espressamente previsto, detto obbligo – per deduzione – parrebbe applicarsi nei procedimenti di separazione coniugale ai soli coniugi genitori di figli minori;
- prevedere che il ricorso “deve contenere…la documentazione dello svolgimento di un percorso” di riconciliazione, sembrerebbe delineare una condizione di procedibilità ovvero di ammissibilità del ricorso stesso;
- si crea inoltre una dubbia sovrapposizione di percorsi obbligatori ovvero, il percorso obbligatorio di riconciliazione (previsto dal D.d.L. 45) ed il percorso obbligatorio di mediazione familiare previsto dagli altri D.d.L. in materia (nn. 735, 768 e 118). All’uopo non può non rilevarsi come il percorso di riconciliazione ed il percorso di mediazione abbiano caratteristiche e finalità completamente diverse.
Ci si chiede, pertanto, se vi sia stata una errata sovrapposizione terminologica ovvero se il D.d.L. 45 voglia introdurre con un percorso diverso ovvero volto, in una visione catecumenale dell’unione matrimoniale, al recupero della relazione coniugale anche attraverso “la presa di coscienza dei problemi scaturenti dalla separazione…”. Sembrerebbe avvalorare tale ultimo intento la circostanza che, diversamente dal percorso di mediazione prevista nel D.d.L. 735, non è prevista la presenza degli Avvocati delle parti, neanche al primo incontro;
In ogni caso, si muovono a detta proposta di modifica legislativa le medesime osservazioni rivolte al D.d.L., n. 735 ovvero:
- in violazione dell’art. 48 della Convenzione di Istanbul (di cui sopra), non vi è alcuna considerazione delle situazioni di violenza intra-familiare, le quali saranno in ogni caso soggette al medesimo obbligo del percorso riconciliativo;
- si provoca una dilazione dei tempi di accesso alla Giustizia (artt. 24 e 25 Cost.);
- si rende impossibile, l’accesso diretto alla Giustizia nei casi di urgenza e/o di grave pregiudizio per i minori, non essendo prevista alcuna clausola di salvezza o deroga al percorso di riconciliazione che garantisca l’accesso diretto ed immediato all’Autorità Giudiziaria con tempi compatibili con la messa in sicurezza dei soggetti vulnerabili;
- viene meno il presupposto della volontarietà della coppia di intraprendere il percorso di riconciliazione, svuotando di fatto i medesimi intenti perseguiti;
- in violazione dell’art. 24 Cost., si introduce l’onerosità del procedimento di riconciliazione. Non è infatti prevista l’istituzione di “apposite” strutture pubbliche e gratuite ove esperire detto percorso obbligatorio di riconciliazione né la possibilità di avvalersi del Patrocinio a Spese dello Stato, con conseguente aggravio di oneri e spese per le parti;
* l’introduzione nella domanda di separazione del “progetto educativo” che i genitori intendono predisporre per il l minore, “i compiti specifici attribuiti a ciascun genitore” nonché “i tempi e le modalità di permanenza dei figli presso ciascun genitore”. Analogamente al D.d.L. 735, il D.d.L. n. 45, introduce il diritto/dovere dei genitori di prestabilire, al momento della presentazione del ricorso, la “vita” del minore. Seppur apparentemente meno dettagliato rispetto al concetto del c.d. “piano genitoriale” (previsto dal D.d.L. 735) detto “progetto educativo” – termine alquanto generico ed indefinito – include al proprio interno una molteplicità di questioni inerenti il minore quali il percorso scolastico, le attività extrascolastiche e/o culturali e/o formative del minore, le attività sportive e/o ricreative. Potrebbero rientrare nel concetto di progetto “educativo” anche l’educazione alimentare, le scelte religiose e le frequentazioni del minore. Sulla scorta di detto “progetto educativo”, i genitori dovranno poi attribuirsi specifici compiti (ripartizione difficilmente applicabile nel concreto) nonché indicare – sempre nel ricorso – i tempi e le modalità di permanenza dei figli presso ciascuno di essi. Anche in questo disegno di legge (così come nel D.d.L. n. 735) sembra pertanto reintrodursi – specialmente ove si consideri il riferimento al concetto di “potestà genitoriale” (e non di responsabilità genitoriale) – il diritto dei genitori di decidere sul futuro dei loro figli, senza prevedere specifici richiami all’ascolto del minore né strumenti legislativi che permettano al minore, di adire l’Autorità Giudiziaria, in caso di disaccordo con i genitori. Si specifica all’uopo che la Risoluzione n. 2079 (2015) del Consiglio D’Europa, nel ribadire assunti ormai pacifici, prevede espressamente che il tempo passato dal bambino con ciascun genitore deve regolarsi in base ai “bisogni e agli interessi del bambino…”, che si deve rispettare “il diritto dei bambini di essere ascoltati in tutte le questioni che li riguardano…” e che deve essere introdotta “la possibilità per i minori di chiedere una revisione delle disposizioni”…indicazioni di cui non si tenuto debitamente conto né nel D.d.L. n. 735 (malgrado l’espresso richiamo che viene fatto alla Risoluzione n. 2079 nella Relazione Illustrativa) né nel D.d.L. n. 45.
II)
Disegno di Legge n. 768
Rispetto agli altri D.d.L. analizzati, il D.d.L. n. 768 presta maggiore attenzione alle diverse criticità che caratterizzano le problematiche conseguenti alla disgregazione dei nuclei familiari e, se per un verso propone elementi certamente importanti ed innovati, per altro, introduce modifiche legislative il cui impatto negativo non è da sottovalutare.
Il D.d.L. n. 768, analogamente agli altri D.d.L., parte innanzitutto da assunti alquanto discutibili ovvero:
* riconosce ed avvalora la sindrome di alienazione genitoriale;
* ritiene che la normativa sull’affidamento condiviso sia stata fino ad oggi “svuotata dei suoi essenziali requisiti” e che i Giudici abbiano esercito un assoluto potere discrezionale proponendo, di conseguenza, una importante limitazione dei poteri valutativi del Giudice;
* nel richiamare la Risoluzione n. 2079/2015 persegue solo su una parte di essa, ignorando le molteplici finalità dalla medesima perseguite. Con la Risoluzione n. 2079/2015, infatti, il Consiglio D’Europa, nell’invitare gli Stati Membri a perseguire politiche che promuovano e garantiscano l’uguaglianza tra i genitori, invita altresì i medesimi a perseguire politiche volte a garantire la parità di genere sul posto di lavoro e nella vita privata. Per il Consiglio D’Europa, pertanto, le due questioni (ovvero quella della uguaglianza dei genitori e quello della parità di genere) sono strettamente connesse ed imprescindibili l’una dall’altra. Malgrado ciò, tutti i D.d.L. in discussione, hanno avanzato modifiche legislative volte a perseguire il primo obiettivo senza considerare in alcun modo l’imprescindibile necessità di apportare un intervento strutturale che elimini le disuguaglianze di genere;
* sulla scorta di ciò, introduce il concetto di paritetica frequentazione dei figli minori, regolandone le ipotesi di “impossibilità materiale”;
* introduce il mantenimento diretto di figli minori e ciò a prescindere dalle specifiche modalità di attuazione dell’affidamento condiviso e chiarendo espressamente che questa deve essere la forma contributiva da privilegiarsi anche in caso di affidamento esclusivo;
* introduce la regola generale della non assegnazione della casa familiare, che, salve le eccezioni di cui si dirà in seguito, spetterà al genitore che su di essa vanta i relativi diritti;
* introduce l’obbligo – prima di adire l’autorità giudiziaria e fatti salvi i casi di assoluta urgenza o di grave ed imminente pregiudizio per i minori – di rivolgersi ad un organismo di mediazione per acquisire informazioni sulle potenzialità di un eventuale percorso di mediazione e, se vi è interesse per avviarlo, prevedendo la gratuità del solo primo incontro;
Per altro verso, il D.d.L. n. 768, riconosce espressamente le situazioni di violenza intra-familiare e dispone che il Giudice debba tener distinte le situazioni di “unilaterale aggressività” dalla “reciproca” aggressività. Antepone però alle situazioni di violenza intra-familiare, le condotte c.d. “alienanti”.
L’analisi del testo, permette di cogliere i vari aspetti del D.d.L. n, 768.
1) affidamento condiviso, affidamento esclusivo ed esercizio della responsabilità genitoriale
- a) affidamento condiviso dei minori.
Sull’assunto che la normativa sull’affidamento condiviso sia stata di fatto “svuotata” e con l’intento di limitare il ritenuto “assoluto potere discrezionale” esercitato dai Giudici, l’art. 1 prevede che “a prescindere dal rapporto tra i genitori il figlio minore ha il diritto… di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione ed istruzione da entrambi (si elimina il riferimento all’assistenza morale) con paritetica frequentazione e assunzione di responsabilità e di impegni e con pari opportunità anche temporali con i figli”. Anche nei casi in cui si ravvisino ipotesi di c.d. “impossibilità materiale” che rendano materialmente impossibile una gestione paritaria della frequentazione dei minori (quali – come specificato nella Relazione – particolari condizioni di salute, allattamento o particolari impegni lavorativi dei genitori), deve essere in ogni caso garantita, (anche attraverso recuperi durante le vacanze scolastiche), una “frequentazione mai inferiore a un terzo del tempo presso ciascun genitore”. Specifica altresì il D.d.l. che, in ogni caso, l’età dei figli, la distanza tra le abitazioni dei genitori ed il tenore dei loro rapporti non rilevano ai fini dell’affidamento condiviso ma, eventualmente, influiscono solo sulle relative modalità di attuazione. Nel caso in cui poi, la decisione fosse rimessa al Giudice, quest’ultimo determinerà le modalità della presenza dei figli presso ciascun genitore “tenendo conto delle capacità di ciascuno di essi di rispettare la figura ed il ruolo dell’altro”, prevedendo all’uopo che, nel valutare la natura del conflitto esistente tra i genitori, il Giudice deve distinguere “l’unilaterale aggressività da quella reciproca”. In ogni caso ed a prescindere da ciò, rimane però ferma la previsione del doppio domicilio del minore presso l’abitazione di entrambi i genitori (il Giudice dovrà infatti stabilire il luogo ove il minore avrà la propria residenza anagrafica, fissando in ogni caso il domicilio presso entrambi i genitori) ed il rispetto del limite temporale minimo di “frequentazione mai inferiore a un terzo del tempo presso ciascun genitore”. Pertanto, anche nei casi in cui la paritetica frequentazione sia materialmente impossibile ovvero un genitore manifesti un comportamento aggressivo verso l’altro dovrà in ogni caso garantirsi (quantomeno) il tempo minino di frequentazione.
- b) art. 2 affidamento esclusivo del minore ad un solo genitore
Relativamente al regime dell’affidamento esclusivo il D.d.L, n. 768 interviene in duplice modo:
- per un verso, limita fortemente il potere discrezionale del Giudice di valutare ed applicare il regime di affidamento che ritiene maggiormente rispondente al preminente interesse del minore. Specifica la Relazione che “al giudice non è data la facoltà di scegliere a sua discrezione tra i due istituti, l’affidamento condiviso e quello esclusivo, ma solo di proteggere il minore da uno dei genitori, ove essere a lui affidato possa arrecargli pregiudizio”, pertanto, “solo ove si verifichino determinate condizioni…si può escludere il genitore dall’affidamento”. Dette particolari condizioni dovranno, inoltre, essere dimostrate da quella che viene definita “l’accusa” (a cui spetta l’onere della prova), previsione questa che preclude ulteriormente il potere discrezionale del Giudice di valutare, nel concreto, ogni singolo caso e di emettere il provvedimento che ritiene maggiormente aderente agli interessi del minore. L’art. 2 dispone quindi che il Giudice può escludere – con provvedimento motivato – dall’affidamento qualora ritenga che “da quel genitore, se affidatario, possa venire pregiudizio per il minore”.
- per altro verso, tipicizza specifiche condotte genitoriali di per sé idonee ad escludere l’affidamento quali:
– il perdurante maltrattamento intra-familiare, la violenza sia fisica che psicologica, in particolare la violenza di genere e la violenza assistita dai figli, l’abuso e la trascuratezza;
– le manipolazioni dei figli volte al rifiuto o all’allontanamento dell’altro genitore e
– le denunce comprovatamente e consapevolmente false mosse al medesimo scopo.
Rispetto alla formulazione dell’articolo, se per un verso si plaude alla tanto attesa considerazione delle situazioni di violenza e di maltrattamento intra-familiare, non possono non sollevarsi le seguenti osservazioni:
- Il riferimento generico alla “esclusione dell’affidamento”, in assenza di ulteriori specificazioni potrebbe comportare seri problemi interpretativi quali, paradossalmente, l’esclusione di qualsiasi regime di affidamento (anche l’esclusivo) e ciò anche in capo ad entrambi i genitori. Sarebbe quindi necessario specificare che dette condotte comportamento l’esclusione dell’affidamento condiviso in capo al genitore maltrattante, abusate o “alienante”;
- si riconosce rilevanza giuridica alla PAS, sindrome come noto priva di qualsivoglia riconoscimento scientifico;
- si delinea una importante discriminazione tra le situazioni di maltrattamento intra-familiare e le asserite condotte manipolative introducendo un intervento “sanzionatorio” – che peraltro incide notevolmente sulle funzioni genitoriali e sulla relazione genitore/figlio – estremamente sbilanciato. Invero, mentre per le situazioni di maltrattamento intrafamiliare si richiede che detto comportamento sia “perdurante”nel tempo, per le condotte manipolatorie si richiede solo che esse siano “volte” ad indurre nel minore il rifiuto o l’allontanamento del figlio dell’altro genitore. Nel primo caso (ovvero nei casi di maltrattamento intrafamiliare) si richiede pertanto che vi sia un comportamento che si è protratto continuativamente nel tempo e che abbia già pregiudicato la salute psicofisica del minore. Nel secondo caso (ovvero nei casi di manipolazioni) per contro, è sufficiente che un genitore ponga in essere una condotta minore, “volta” al semplice rifiuto o all’allontanamento del figlio dell’altro genitore, a prescindere dal fatto che detta condotta si stata concretamente agita ovvero che abbia avuto effetti sul minore.
- analogamente, si introduce poi la dibattuta questione delle denunce comprovatamente e consapevolmente “false” – come noto statisticamente inferiori a quelle “vere” – mosse al medesimo scopo. Posto infatti che vi sarà la concreta difficoltà di accertare, in sede civile, l’eventuale falsità della denuncia e l’elemento soggettivo della “strumentalità” della stessa, si rischia nuovamente di introdurre strumenti deterrenti che disincentiveranno le vittime a denunciare i maltrattamenti per paura che ciò possa incidere negativamente sulle funzioni genitoriali e sul rapporto con i figli.
Deve aggiungersi, altresì che il D.d.L. prevede che – in ogni caso – dovrà tentarsi (nel rispetto dei diritti dei figli di mantenere, nel proprio esclusivo interesse morale e materiale, un rapporto equilibrato e continuativo con ciascun genitore, di ricevere cura, educazione ed istruzione da entrambi con paritetica frequentazione e assunzione di responsabilità e di impegni) il “recupero del genitore abusate o carente”. Nei soli casi di violenza psicologica, inoltre, è previsto che il Giudice possa adottare (determinandone le modalità) l’attuazione di specifici programmi di trattamento sanitario finalizzato al “rapido recupero dei diritti relazionali del minore”. Posto che è ancora controversa la possibilità o meno per l’Autorità Giudiziaria di imporre dei programmi di trattamento sanitario, si rileva come sarebbe conseguentemente necessario un propedeutico intervento normativo volto a creare ovvero ad implementare e rendere concretamente efficaci strutture pubbliche – altamente specializzate – in grado di intervenire positivamente in situazioni così complesse. L’applicazione concreta della proposta di modifica legislativa presupporrebbe pertanto un preventivo investimento di risorse pubbliche, volto a creare strutture specializzate. In assenza di ciò, si andrebbero ulteriormente ad aggravare i già oberati Servizi Sociali Territoriali, circostanza questa renderebbe praticamente impossibile l’utile espletamento di qualsivoglia percorso di recupero.
Ove sorgano difficoltà o contestazioni il Giudice potrà poi emanare i provvedimenti più opportuni “per tutelare le persone interessate”. Tale disposizione si applica però alle sole ipotesi di violenza psicologica e non alle altre ipotesi di violenza, che rimangono pertanto prive di detta tutela.
Desta altresì preoccupazione che malgrado si verta in situazioni altamente pregiudizievoli per il minore (maltrattamento intra-familiare, violenza fisica e/o psicologica e/o assistita, abuso e trascuratezza), non sia stata prevista alcuna deroga espressa al principio generale della paritetica frequentazione o al limite minino obbligatorio “mai inferiore ad un terzo” della frequentazione del minore ovvero la possibilità per il Giudice di emettere specifici provvedimenti a tutela del minore stesso.
In ottemperanza all’art. 48 della Convenzione di Istanbul, doveva inoltre escludersi – nei casi di violenza e maltrattamento intra-familiare – l’obbligo di rivolgersi ad un organo di mediazione familiare, anche solo per acquisire informazioni circa la potenzialità del percorso, così come sarebbe opportuno prevedere l’espresso divieto di far intraprendere alle parti percorsi che richiedono incontri congiunti (CTU, percorso di sostegno alla genitorialità ecc..).
- c) sull’esercizio della responsabilità genitoriale.
L’affidamento, sia esso condiviso e/o esclusivo, è strettamente connesso all’esercizio della responsabilità genitoriale, definita dall’art. 7 quale “l’insieme dei diritti e dei doveri dei genitori che hanno per finalità l’interesse dei figli”. A prescindere dal regime di affidamento (condiviso e/o esclusivo) e fatte salve eventuali diverse determinazioni del Giudice, le questioni oggi definite di ordinaria amministrazione e ridefinite dal presente D.d.L. “di secondaria rilevanza” dall’art. 1 e di “gestione della vita quotidiana dei figli” dall’art. 2, sono esercitate dai genitori separatamente, provvedendo il genitore presente.
Salvo il caso in cui sia disposto l’affidamento esclusivo ad un solo genitore, l’esercizio della responsabilità genitoriale è esercitata da entrambi i genitori e le decisioni di maggior interesse per i figli (quali l’istruzione, l’educazione e la salute) devono essere assunte dai genitori di comune accordo.
Diversamente dall’attuale normativa, specifica disposizione viene prevista per la questione del cambio di residenza dei minori. Il D.d.L., al fine di porre dei “limiti al frequente abuso di potere da parte del genitore collocatario che si trasferisce con i figli dove meglio crede senza prendere accordi con l’altro e senza autorizzazione del giudice; molto spesso impunemente”, specifica che “il cambiamento di residenza dei figli costituisce decisione di maggior interesse e richiede l’accordo dei genitori” o in caso di mancato accordo, l’autorizzazione del Tribunale. Ciò posto, il successivo art. 2 dispone che, salva diversa disposizione del Giudice, “le decisioni di maggiore interesse per i figli – (e pertanto le decisioni inerenti l’istruzione, l’educazione, la salute e per l’appunto la residenza) – …sono adottare dal genitore cui sono affidati i figli in via esclusiva”. Il successivo art. 14 però, (in modifica l’art. 709 ter c.p.c.) prevede che “nel caso in cui uno dei genitori, anche se affidatario esclusivo, trasferisca la prole senza il consenso scritto dell’altro genitore o del giudice in luogo tale da interferire con le regole dell’affidamento, il giudice dispone il rientro immediato dei figli e il risarcimento di ogni conseguente danno, valutando tale comportamento ai fini dell’affidamento e delle sue modalità di attuazione”.
Non è chiaro se i Senatori proponenti siano caduti in una contraddizione ovvero se il discrimine tra l’art. 2 e l’art. 14 sia la scelta del luogo ove il genitore affidatario esclusivo si sia trasferito con il minore (ovvero un luogo che potrebbe interferire con le regole dell’affidamento).
Ciò posto, si rileva però come qualsiasi trasferimento – specialmente nelle grandi città – potrebbe interferire con le regole dell’affidamento.
Le due disposizioni pertanto generano difficoltà interpretative ed applicative con conseguenti pregiudizi per il minore (che potrebbe subire un “rientro” immediato e “coatto” nella vecchia abitazione) e per il genitore affidatario esclusivo che potrebbe veder valutato negativamente il suo comportamento, con ricadute nel regime di affidamento e/ o sulle sue modalità di attuazione ed eventualmente condannato al risarcimento dei danni.
2) Sul contributo al mantenimento dei figli.
Ed ancora, a prescindere dall’eventuale affidamento condiviso o esclusivo (anche in caso di affidamento esclusivo infatti il mantenimento diretto deve essere la forma da privilegiare), ovvero a prescindere dai determinati tempi e dalle modalità di frequentazione del minore, si introduce il mantenimento diretto dei figli.
Specifica la Relazione come debba rendersi “del tutto inequivoca, e quindi, ineludibile, la prescrizione in favore del mantenimento diretto che dovrà essere stabilito ogni qualvolta sia chiesto, anche da un solo genitore, rimettendo al giudice la (sola) divisione degli oneri economici ove non concordata”.
Si priva pertanto il Giudice di qualsivoglia possibilità di valutare e calibrare la corresponsione del contributo economico del minore al caso concreto; ciò, paradossalmente, non solo nei casi di affidamento esclusivo ma anche nei casi in cui la riscontrata ’“impossibilità materiale” renda impossibile una paritaria frequentazione del minore (comunque mai inferiore ad un terzo). “Fatti salvi diversi accordi tra le parti” e, senza che sia prevista alcun possibile intervento discrezionale del Giudice, “ciascuno dei genitori provvede in forma diretta e per capitoli di spesa al mantenimento dei figli in misura proporzionale alle proprie risorse economiche”. Le modalità ed i capitoli di spesa saranno concordati tra i genitori ed in caso di disaccordo saranno stabiliti dal Giudice.
Rispetto alla quantificazione del contributo economico, il costo dei figli verrà valutato tenendo conto delle “attuali esigenze del figlio” e delle “attuali risorse economiche dei genitori”.
Inoltre sull’assunto che “nel corso del tempo le spese a vantaggio del figlio, soggetto in età velocemente evolutiva, hanno continui cambiamenti” viene eliminato il parametro del “tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori”.
Non si considera però che i richiamati “continui cambiamenti” influenzeranno inevitabilmente anche la tipologia e l’entità dei capitoli di spesa così come le “attuali esigenze del figlio”.
Il trascorrere del tempo, inoltre, potrebbe incidere anche sulle “attuali risorse economiche dei genitori”.
La rigida ripartizione della contribuzione in capitoli di spesa, sganciata altresì dalla tipologia del regime di affidamento applicato (condiviso o esclusivo) e dalle reali modalità e tempi di frequentazione del minore, rende ardua una reale compartecipazione dei genitori alle spese relative al minore, circostanza questa che potrebbe implementare vertiginosamente, specialmente con il trascorrere del tempo, i ricorsi all’Autorità Giudiziaria.
Al fine di contenere le conseguenze negative dell’applicazione dell’istituto del mantenimento diretto (aggravate dall’assenza di un strutturato intervento legislativo volto a garantire la parità di genere sul posto di lavoro ed a sanare il gap salariale tra uomo e donna), il D.d.L. prevede che il Giudice deve valutare anche la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore (difficilmente monetizzabili) e, ove necessario, potrà stabilire (al fine di realizzare il principio di proporzionalità) la corresponsione di un assegno perequativo periodico in favore del genitore economicamente più debole. Qualora, poi, un genitore venga “comprovatamente” meno al dovere di provvedere al mantenimento del figlio nella forma diretta per la parte di sua spettanza, il Giudice, su richiesta dell’altro genitore, revocherà il mantenimento diretto e disporrà che il genitore inadempiente corrisponda, per il figlio, un contributo economico all’altro genitore.
Tenuto conto che la contribuzione è per capitoli di spesa, l’arduo onere di provare il comportamento inadempiente di un genitore spetterà inevitabilmente al genitore che già lo patisce, il quale si troverà pertanto costretto ad adire nuovamente (con ulteriore aggravio di spese) il Giudice ed a provvedere in via esclusiva al figlio fino al provvedimento del Tribunale. Senza contare poi che qualora il genitore tenuto al versamento perseveri nel comportamento inadempiente, l’altro genitore dovrà adire nuovamente l’Autorità Giudiziaria per ottenere il recupero delle somme e/o gli ulteriori provvedimenti necessari.
Non si considera, poi, che il comportamento inadempiente di un genitore, non solo disattende i doveri genitoriali ma è altresì sintomatico di un grave disinteresse nei confronti del figlio. Detto comportamento dovrebbe pertanto essere espressamente considerato al fine di una eventuale modifica del regime di affidamento e/o delle sue modalità di attuazione.
3) Sulla casa familiare
Rispetto alla questione dell’abitazione familiare, la Relazione precisa come il problema della sua assegnazione debba porsi “solo in via eccezionale ovvero quando non si è potuto rispettare – per ragioni oggettive come la distanza tra le abitazioni – il diritto indispensabile dei figli a essere presenti in misura simile presso ciascuno dei genitori”.
Si reintroduce pertanto il concetto privatistico dell’abitazione familiare, stabilendo che fatti salvi casi eccezionali, la casa resterà a colui che su di essa vanta i relativi diritti.
Nel codificare ciò, l’art. 3 dispone che il “godimento della casa familiare è attribuito di regola secondo la legge ordinaria”.
Per contro, nel caso in cui la frequentazione genitori/figli sia sbilanciata (denominati “casi eccezionali” nonostante rappresentino invece la maggioranza dei casi!), il godimento della casa sarà attribuito tenendo conto “esclusivamente” dell’interesse dei figli.
In questo ultimo caso, però, il genitore che vede assegnarsi il godimento dell’abitazione dovrà – e non è specificato come né in quale misura! – “compensarne le conseguenze economiche”.
Si introduce poi quella che viene definita nella Relazione una “regola di solidarietà” a tutela del genitore che, costretto a rilasciare l’abitazione familiare, si trovi a patire una situazione di disagio abitativo, circostanza che potrebbe influire e limitare la possibilità del genitore economicamente più debole di tenere con sé il figlio.
In tali ipotesi, il Giudice potrà stabilire in favore del genitore che non abbia sufficienti risorse economiche per garantire ai figli una adeguata dimora, un contributo economico a fini abitativi a carico dell’altro genitore.
Seppur apprezzabile, la “regola di solidarietà” non tutela concretamente il genitore economicamente più debole laddove l’altro resti inadempiente.
L’art. 3 modifica altresì la normativa relativa al cambio di residenza o di domicilio di uno dei genitori, stabilendo che ove detto mutamento interferisca con le modalità di affidamento dei minori, ciascun genitore potrà ricorrere all’Autorità Giudiziaria e chiedere la modifica delle condizioni anche rispetto agli aspetti economici. Viene però eliminato l’attuale obbligo di un genitore di comunicare all’altro genitore, entro il termine perentorio di 30 giorni, l’avvenuto cambio di residenza e di domicilio e la possibilità – in caso di mancata comunicazione – per il genitore ignaro di vedersi attribuito il risarcimento del danno eventualmente verificatosi a causa delle difficoltà riscontrate nel reperirlo.
4) Ascolto del minore.
L’attuale normativa prevede che il Giudice, ex artt. 336 bis e 337 octies c.c. dispone l’ascolto del figlio minore (che abbia compiuto i 12 anni o anche di età inferiore ove capace di discernimento) salvo che ritenga detto ascolto manifestatamente superfluo ovvero in contrasto con l’interesse del minore. Il D.d.L., con l’intento di “restituire ai figli il pieno diritto all’ascolto”, sembra eliminare la possibilità per il Giudice di valutare, caso per caso, l’eventuale dannosità dell’ascolto del minore. Per contro, prevede la sola ipotesi che sia il minore ad esprimere il proprio rifiuto ad essere ascoltato, (rifiuto la cui fondatezza sarà valutata dal Giudice) e la possibilità per il minore – anche nei procedimenti in cui si omologa o si prende atto dell’accordo dei genitori – di essere ascoltato ove ne faccia richiesta.
5) Mediazione familiare
Anche il D.d.L. n. 768 – salvi i casi di assoluta urgenza o di grave ed imminente pregiudizio per i minori – impone ai genitori di rivolgersi ad un organismo di mediazione, prima adire l’Autorità Giudiziaria.
I genitori pertanto non potranno più accedere direttamente alla giustizia ma dovranno prima rivolgersi ad un mediatore per acquisire informazioni sulle potenzialità di un eventuale percorso di mediazione e, se vi è interesse, per avviarlo. Detto percorso potrà essere interrotto in qualsiasi momento ma in questo caso o in caso di insuccesso, il Giudice emetterà i relativi provvedimenti solo previa acquisizione di un attestato da parte dell’organismo di mediazione che certifichi che le parti hanno tentato la mediazione. Il Giudice, segnalerà altresì alle parti “l’opportunità di rivolgersi” ad un mediatore anche nel caso in cui i contrasti insorgano successivamente – in ogni stato e grado del giudizio – o anche dopo la sua conclusione.
In ogni caso, è prevista la gratuità del solo primo incontro. Detto percorso sarà pertanto economicamente a carico delle parti, le quali dovranno poi sostenere le spese processuali e legali del relativo procedimento dinanzi l’Autorità Giudiziaria e ciò, sia che si raggiunga un accordo sia che non si raggiunga.
Anche il D.d.L. n. 768, prevede poi il divieto di testimonianza per il mediatore e per gli eventuali soggetti che hanno assistito al procedimento, il divieto di testimonianza per le parti e la segretezza degli atti e dei documenti del procedimento di mediazione cui segue la relativa impossibilità di produrli nel successivo procedimento giudiziale. Nulla di quanto accade nel procedimento di mediazione potrà pertanto essere posto all’attenzione dell’Autorità Giudiziaria, limitando di fatto la cognizione del Giudice.
III)
Disegno di Legge n. 118
Il D.d.L., n. 118, nel perseguire anch’esso l’obiettivo di incrementare il ricorso alla mediazione nei procedimenti di separazione dei coniugi, manifesta almeno formalmente maggiore attenzione rispetto alle criticità legata all’obbligatorietà del percorso. Invero, diversamente agli altri D.d.L., il D.d.L. n. 118 prevede che il Presidente del Tribunale, “invita le parti a rivolgersi a un organismo di mediazione familiare…per acquisire informazioni sulle potenzialità di un eventuale percorso di mediazione e, se vi è interesse, per avviarlo. Non vi sarebbe pertanto alcun obbligo bensì un semplice invio. Ciò posto, premesso che già ora i Tribunali invitano le parti ad intraprendere percorsi di mediazione (invito di sovente espressamente previsto Decreti di fissazione delle udienze di prima comparizione), il requisito della volontarietà rischia di essere minato laddove si prevede che, in caso di interruzione del percorso, le parti debbano obbligatoriamente motivare al mediatore i motivi dell’interruzione del percorso nonché ove – dando per assodato che le parti accettino l’invito – si prevede che, in caso di insuccesso del percorso di mediazione, il Presidente adotterà i relativi provvedimenti solo previa acquisizione di un attestato rilasciato dal mediatore familiare comprovante l’effettuazione del tentativo di mediazione.
L’invito a rivolgersi ad un organismo di mediazione, viene escluso nei casi in cui si ravvisi una “assoluta urgenza” o un “grave e imminente pregiudizio per i minori”, circostanze che saranno naturalmente rimesse alla discrezionale valutazione del Giudice, ma in violazione dell’art. 48 della Convenzione di Istanbul (che vieta “metodi alternativi di risoluzione di conflitti per tutte le forme di violenza) non è specificatamente previsto l’esclusione dell’invito nei casi di violenza intra-familiare.
Analogamente agli altri D.d.L., il Giudice potrà segnalare alle parti “l’opportunità di rivolgersi” ad un mediatore anche qualora i contrasti insorgano successivamente (in ogni stato e grado del giudizio di separazione o anche dopo la sua conclusione) ed è previsto il divieto di testimonianza per le parti, per il mediatore, per gli eventuali soggetti che hanno assistito al procedimento nonché la segretezza degli atti e dei documenti del procedimento di mediazione con conseguente impossibilità di produrli nel procedimento giudiziale.
Si rileva, che il D.d.L., n. 118 non prevede la gratuità neanche del primo incontro di mediazione.
In conclusione, tenuto conto delle diverse criticità che caratterizzano ciascun D.D.L. e delle evidenti ricadute negative che l’eventuale codificazione potrebbe arrecare, tenuto altresì conto della circostanza che vi è il concreto pericolo che i diritti e gli interessi del minore vengano strumentalizzati per perseguire gli interessi personalistici e privatistici degli adulti, si auspica che venga delineato un intervento legislativo scevro da condizionamenti politici e di parte che intervenga in modo serio ed obiettivo in una materia così delicata quale è quella del diritto di famiglia.
Ufficio legale di be free
avv.ta sabrina fiaschetti
avv.ta carla r. quinto
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